Le tre fedi monoteistiche a Gerusalemme.
Pianta antica della città di Gerusalemme
PREMESSA.
Il tema che affrontiamo in questa relazione è di straordinaria attualità, sia dal punto di vista religioso, siamo in Quaresima, sia dal punto di vista politico, la guerra continua nella terra di Gesù.
Ora, noi tutti sappiamo come nella vita di Gesù i quaranta giorni di digiuno nel deserto siano stati quelli della preparazione alla Passione e alla Morte, ma anche alla Risurrezione.
Noi cristiani siamo persone di fede abituate a lavorare e a vivere proiettate nella speranza e promotrici di carità. In questa relazione tenterò di spiegare come orientarci in quel contesto che affonda le radici alle origini della storia dell’uomo.
Il mio è un tentativo non è un teorema, e per questo insieme a voi desidero fare una preghiera allo Spirito Santo, perché illumini me, che scrivo, e voi, che leggete, in modo che la lettura porti frutti buoni per la nostra comunità.
Prima parte.
L’argomento da sviluppare in questa analisi non è né semplice, né facile. Cominciamo dal titolo che ho voluto enunciare fin dall’inizio in modo provocatorio ma anche in modo stimolante.
Oggi, la città; che per noi fedeli seguaci di Gesù Cristo rappresenta la città della condanna, della morte e della sua risurrezione; è ancora al centro della tensione internazionale. Le guerre che attorno allo stato di Israele si sono combattute e si stanno tragicamente combattendo, chissà ancora per quanto tempo, ruotano tutte attorno alla costituzione dello stato di Israele nel 1948.
Gli arabi e i palestinesi non hanno mai accettato e non accetteranno, forse mai, la esistenza di uno stato ebraico sui loro territori.
Perché?
Ho volutamente detto “stato ebraico” e non banalmente israeliano, perché la ragione profonda sta tutta nella religione, ovvero nelle religioni che su quel territorio si sono formate e costruite nei secoli.
Vedete, oggi molti di noi, anche negli ambienti intellettuali cattolici, vivono in una profonda ignoranza delle altre due religioni: l’ebraismo e l’islam. Fino a qualche decennio fa la nostra cultura religiosa cattolica era abbastanza estranea alle altre due religioni, cosiddette del Libro, perché le aree di intersezione e di conflitto culturale e religioso esistevano, sì, ma erano lontane dalla nostra quotidianità. Non ci toccavano più di tanto. La storia è sempre stata piena di eventi conflittuali tra le religioni, in particolare tra Islam e Chiesa di Roma, però nel secolo scorso c‘era stata una specie di convivenza non contrapposta, non belligerante.
Da qualche decennio a questa parte, le organizzazioni fondamentaliste islamiche si sono risvegliate e stanno mettendo in grosse difficoltà le nostre quiete abitudini di vita e di lavoro.
Perché?
Io tenterò di dare qualche chiave di lettura a questi due perché, e saranno chiavi plurime abbastanza complesse e che certamente non apriranno tutte le porte che sarebbe necessario aprire per capire i fenomeni sottostanti. La brevità della esposizione comporta che io tenti, per il momento, di enunciarne alcune.
Sul primo perché, è necessario fare riferimento alle radici dell’Islam. Ora, nella cultura musulmana e nella Sunna, che rappresenta la loro tradizione con tutti gli hadit del profeta Muhammad e dei sapienti interpreti difensori del Corano, la terra si divide in due parti: dar al Islam (terra dell’Islam) e dar al Harb (terra della guerra). Cioè, per il credente musulmano la terra è tutta destinata, per volere di Allah, a diventare terra dell’Islam. Non esiste l’eventualità e tanto meno la possibilità che possano esistere altre religioni su questa terra. Alla fine del mondo tutto il pianeta e i suoi abitanti dovranno essere sottomessi alla legge di Allah, clemente e misericordioso, perché tutti gli uomini devono salvarsi.
Come è possibile convertire all’Islam le popolazioni che non lo vogliono o che hanno altre fedi radicate nella loro storia? Semplicemente con la conversione forzata o con la legislazione civile che impedisce, alla fine, di poter praticare la propria fede originaria, oppure, come è successo a Cipro in questi ultimi anni, con la semplice distruzione delle chiese e dei luoghi di culto da parte dei turchi, che aspirano ad entrare nell’Unione Europea.
La storia della conquista araba, a partire dalla morte del profeta Muhammad, delle nazioni del Nord Africa, della Palestina, della Siria, della Persia, dell’India e della Spagna, si è svolta secondo quei canoni. Per esempio, la legislazione fiscale nei territori conquistati (parliamo degli anni che vanno dal 629 dopo Cristo in avanti, e quindi anche oggi), prevede che i fedeli delle altre due religioni del Libro, gli ebrei e i cristiani, possano praticare la loro fede nei luoghi di culto, esclusivamente, a patto che paghino una tassa speciale chiamata “al Dhimma”. Cioè, ebrei e cristiani hanno lo statuto dei protetti, nel senso che possono rimanere ebrei e cristiani, e nessuno glielo impedisce, solo se pagano questa tassa. Ora, questa tassa di protezione, che è una specie di pizzo alla siciliana, si è evoluta nei secoli. All’inizio della conquista araba era molto forte, consisteva nel versare all’autorità islamica anche il 50% del raccolto. Risulta evidente, anche a chi non se ne intende di fisco, che ebrei e cristiani alla fine o emigravano in altri territori o si convertivano all’Islam, e questa era la soluzione più semplice.
Questo status giuridico dell’ebreo o del cristiano veniva e viene chiamato Dhimmi, e nelle società musulmane essere un Dhimmi significa essere un cittadino di serie B, con minori diritti civili e minori opportunità di lavoro e di carriera nelle strutture dello stato islamico.
Ora, per ritornare alla spiegazione originaria sul conflitto contro lo Stato di Israele, la genesi della guerra è forse più chiara nelle sue radici religiose, perché quella terra oggi occupata dagli ebrei è stata dal 638 dopo Cristo,salvo qualche interruzione durante le Crociate, territorio musulmano: dar al Islam, e nella visione religiosa e culturale del musulmano un territorio che veda la presenza dell’Islam diventa automaticamente dar al Islam!!! Per sempre, fino alla fine del mondo.
Ecco perché il mondo arabo e musulmano non sopporta l’idea dell’esistenza dello stato di Israele.
Folla in preghiera al Muro del Pianto nel cuore della città vecchia
Seconda parte.
Sul secondo perché, è necessario fare riferimento alla storia della filosofia islamica. In una conferenza tenuta a Venezia dal professor Hasan Hanafi, docente di filosofia presso l’Università del Cairo in Egitto, ho appreso che la cultura islamica universitaria si sente orfana del nostro progresso filosofico. Hanafi ha dichiarato apertamente che lo stato della loro evoluzione filosofica è fermo al nostro Medioevo, e che il sogno dei filosofi egiziani, ma non solo, è quello di riuscire a far germinare nella cultura islamica quei fermenti di apertura al progresso scientifico e culturale che, in gran parte, il sistema di potere dei capi religiosi ha impedito e continua ad impedire, terrorizzati come sono dalla comparsa dei concetti di libertà di pensiero, di libertà di parola, di libertà di coscienza, di libertà di religione.
Come vedete le spiegazioni dei fenomeni sociali e politici non sono mai semplici, anzi.
Allora è chiaro che la violenza, il terrorismo, le guerre contro l’Occidente, e soprattutto contro il cristianesimo, rappresentato dalla Chiesa di Roma, hanno alla loro origine delle motivazioni così forti che non si possono contrastare o vincere semplicemente con la guerra contro le potenze islamiche.
Noi fedeli della Chiesa di Roma dobbiamo fare tesoro degli insegnamenti profondi e illuminati del nostro Papa emerito Benedetto XVI. Nell’incompreso discorso magistrale, tenuto all’Università di Regensburg durante la visita nella sua terra natale il 12 settembre 2006, il nostro Papa aveva messo bene in evidenza come il dialogo sia possibile a partire dalla conoscenza reciproca e non dalla violenza e dalla sopraffazione, come oggi, purtroppo, il fondamentalismo islamista fa vedere con sempre maggiore sgomento.
Probabilmente, il culmine dell’argomentare del Papa emerito si trova nell’espressione: «Il non agire secondo ragione è alieno da Dio». Questa convinzione accompagna certamente l’intera tradizione cristiana da sempre; la sua concettualizzazione, comunque, trova terreno fecondo ai tempi di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Non è il caso di far riferimento ai testi di Agostino o di Anselmo in proposito. Non è questa la sede.
Ricordo che la riflessione del Papa ai docenti dell’Università di Regensburg, dove lui aveva insegnato da giovane sacerdote, riguardava la ragionevolezza della fede religiosa, e che non si poteva certamente ritenere ragionevole una fede religiosa, come la islamica, che prevedeva di dare la morte ai civili con i kamikaze, e ai musulmani che cambiavano religione, con la lapidazione.
Ora, vedete di tentare una riflessione, secondo la vostra esperienza, sul come si deve sentire un insieme di persone credenti in un certo credo religioso che comprende non solo la fede, ma anche la politica, l’economia, il diritto, la filosofia, la vita quotidiana; quando cominciano ad introdursi nel loro sistema culturale i germi della diversità e dell’innovazione. Sembra naturale una reazione di chiusura e di conservazione. Poi, se la religione e i predicatori sostengono che la diversità, e l’innovazione, provocherebbero la distruzione della loro fede, beh, pensate un po’ come reagirebbero queste popolazioni. Quindi, è naturale e ovvia la reazione violenta e irrazionale contro chiunque tenti di parlare di comprensione e di dialogo. Il fondamentalismo, qualunque sia la fede, è sempre violento e irrazionale, disastroso e irrecuperabile per le popolazioni che vengono coinvolte, loro malgrado, nelle tempeste della rabbia e dell’odio.
Il guaio, per noi cristiani, è che i nostri intellettuali cattolici, e anche parte degli ecclesiastici, poco conoscono della vita reale in quelle società dove il fondamentalismo è pratica quotidiana con i massacri e il terrore, e parlano di Islam moderato e di musulmani moderati, che pure esistono, perbacco, ci mancherebbe! Però il musulmano moderato in quei contesti culturali deve prima di tutto pensare alla sua vita e alla sua famiglia e al suo lavoro, mica può mettersi a parlare contro il fondamentalismo. Immediatamente verrebbe accusato di apostasia e condannato a morte. Ma anche in Europa e in Italia i musulmani moderati devono guardarsi dal manifestare in pubblico il loro dissenso contro il terrore. Gran parte degli imam che reggono le moschee in Italia sono di formazione Wahabita, e sono gli strenui assertori della guerra santa, dell’odio contro la chiesa di Roma, e della violenza contro l’Occidente.
Come vedete non è facile entrare in Gerusalemme senza un bagaglio culturale adeguato. Si rischierebbe di prendere qualche cantonata poco salutare. Gerusalemme è destinata a restare ancora per molti anni al centro delle tensioni internazionali.
Antico mosaico della città di Gerusalemme che si trova a Madaba in Giordania
È necessario, però, fare anche altre considerazioni di natura metastorica, bisogna andare oltre l’analisi dei fatti e degli eventi per portarsi su un terreno quasi teologico.
Per esempio, è quanto mai opportuno inquadrare la situazione temporale di Gerusalemme nella dimensione della divinità. Dio c’entra nella storia degli uomini? Dio ha un ruolo nella nostra vita presente e futura?
I credenti in Dio quale contributo possono dare, o meglio, quale contributo devono dare per essere congruenti al disegno di Dio nella storia della salvezza?
Ecco, queste semplici considerazioni ci portano a puntare la lampada della nostra ricerca su cammini ancora poco esplorati e che richiedono il coraggio e la fantasia di un Cristoforo Colombo, stimolano la creatività degli spiriti liberi e nello stesso tempo profondamente legati a Dio e al suo piano di salvezza per tutta l’umanità.
Allora entriamo a Gerusalemme per capire qualcosa di più delle tre religioni del Libro, e per salire al suo monte santo con la convinzione che, una volta arrivati sulla cima, ci si possa sedere e riflettere sul nostro destino e sul ruolo giocato da Dio nel mettere sullo stesso monte i credenti: ebrei, cristiani, musulmani.
Immaginiamolo questo Dio che parte con la creazione del mondo e dell’uomo, che manda profeti al suo popolo Israele, che manda il suo Figlio Gesù a salvare l’umanità dal peccato originale per aprire agli uomini la strada della salvezza osservando la sua parola, il suo insegnamento; che lascia la responsabilità a un credente arabo, Muhammad, di fare una sintesi originale e sovversiva della Bibbia e del Vangelo da predicare, per sottomettere, mai pacificamente, intere popolazioni a quella nuova sintesi religiosa.
Ma ci abbiamo mai pensato a questa situazione?
Abbiamo mai avuto modo di capire cosa vuole Dio da noi in questa nostra condizione umana?
Abbiamo mai realizzato l’idea che Gerusalemme rappresenta la chiave di volta della salvezza di tutta l’umanità?
Ecco alcune domande, ancora provocatorie e stimolanti, che forse non trovano risposte semplici e immediate, ma alle quali è assolutamente necessario trovare un riscontro.
Terza parte.
Vediamo ora una sintesi su Gerusalemme nelle tre religioni monoteistiche, come luogo storico e come tema teologico.
La città di Gerusalemme ha assunto nelle tradizioni delle tre religioni un valore simbolico e un pregnante significato spirituale.
Per l’Ebraismo, Gerusalemme non fu mai città di luoghi sacri, né luogo-ricordo di eventi passati; essa è in se stessa Santa, simbolo dell’esistenza e della continuità di un popolo cacciato, umiliato, massacrato, che mai disperò della promessa della sua restaurazione espressa nella Bibbia dai salmi e dai profeti, ed è sempre viva, attraverso i secoli, nella liturgia, nelle preghiere e nelle aspirazioni individuali di ogni giorno.
La letteratura rabbinica accolse il simbolismo della “Gerusalemme celeste”, dirigendolo prima di tutto e soprattutto verso la Gerusalemme terrestre, come centro di raccolta di tutto il popolo. Additò, anzi, nella terrestre l’archetipo della celeste; anche i grandi mistici non separarono mai l’una dall’altra; e il Talmud (raccolta delle discussioni tenute nelle accademie giudaiche) mette sulla bocca di Dio l’espressione: “Non entrerò nella Gerusalemme celeste se prima non sarò entrato nella Gerusalemme terrestre”, da qui il significato del bellissimo saluto tra gli ebrei: “l’anno prossimo a Gerusalemme”. La tradizione ebraica mantiene un’idea globale di Gerusalemme, con tutto il suo significato geografico, economico, etnico, politico, che non esclude, certo, ma neppure evidenzia in modo particolare, il suo significato religioso.
La considerazione cristiana di Gerusalemme ha sempre oscillato tra la dimensione terrestre e la dimensione celeste della città santa. Della Gerusalemme celeste parlano le fonti cristiane (Apocalisse 12, lettera agli Ebrei 12,22, lettera ai Galati 4,26): essa è l’archetipo della terrestre, è la madre di tutti i cristiani, immagine della Chiesa. Il centro del cristianesimo è infatti Cristo, e la santità risiede nella comunità, non in un luogo.
Vi è anche un vivo interesse per la Gerusalemme terrestre (e la Palestina) dove si svolsero i grandi eventi della storia cristiana, legati a un contesto locale e storico ben preciso: la presentazione al tempio, l’infanzia, la predicazione, la passione, la morte, la risurrezione, l’ascensione di Gesù Cristo; la pentecoste, la nascita della prima comunità cristiana. Per questi motivi la Gerusalemme celeste non soppiantò mai la terrestre, la de-territorializzazione non fu mai assoluta.
Come manifestazione terrestre della forma perfetta della città di Dio (Gerusalemme celeste), essa ha ispirato numerosi progetti urbanistici del medioevo e del rinascimento. Le descrizioni dei pellegrini dei primi secoli del medioevo diffusero in Europa l’immagine del tempio di Gerusalemme, riprodotto in un grande numero di edifici religiosi a pianta centrale sul modello della moschea di Omar (la cupola della roccia). La stessa identificazione della moschea di Omar con l’immagine dell’antico tempio fu a lungo diffusa nell’iconografia popolare ebraica europea.
L’atteggiamento dell’Islam verso Gerusalemme si ispira essenzialmente alla sura 17,1 del Corano: “Lode a colui che trasportò il suo servo dal tempio sacro al tempio più remoto”, in arabo “Al Aqsa”. I musulmani identificarono il “tempio più remoto” con l’attuale moschea e legarono quindi la città alla figura di Muhammad. Questo legame e quello di Abramo (e di suo figlio Ismaele capostipite degli arabi) con il monte del tempio hanno fatto sì che Gerusalemme sia considerata la terza città santa dell’Islam (dopo La Mecca e Medina). Nei primi tempi la preghiera canonica musulmana non fu rivolta verso La Mecca, ma verso Gerusalemme. Maometto cambiò la direzione dopo aver ordinato e partecipato al massacro delle tribù ebraiche di Medina, che non lo vollero accettare come ultimo profeta inviato da Dio.
Scorcio della Moschea di Omar, Cupola della Roccia, collocata sulla spianata delle moschee sopra il Muro del Pianto nella città vecchia
Fatte queste semplici ma puntuali precisazioni su cosa rappresenta Gerusalemme per le tre religioni, ritorniamo a riflettere su di noi in rapporto alle altre due religioni proprio lì a Gerusalemme. Mi piacerebbe raccontarvi del ruolo della Custodia della Terrasanta e dei frati francescani, dall’inizio del pellegrinaggio di San Francesco nel 1219 proprio nella terra di Gesù, fino ad oggi. Lo faremo in altre occasioni.
Ora, dopo l’esposizione fatta fin qui, mi sembra ancora stimolante fare ulteriori considerazioni del disegno divino su Gerusalemme. Premesso che la storia sacra, dalla Bibbia al Vangelo, ci fornisce elementi di riflessione abbondanti sul destino dei credenti, certamente non ci fornisce risposte alle domande enunciate in precedenza se non in una dimensione escatologica, in una proiezione verso l’eternità dove la fede gioca un ruolo assoluto ma non fornisce risposte valutabili con i criteri della scientificità cui siamo abituati nella nostra cultura occidentale.
Immaginiamo di poter osservare dall’alto del monte Sion i fedeli delle tre religioni nella loro vita quotidiana.
Gli Ebrei, i nostri fratelli maggiori, fedeli assertori dell’attesa del Messia che deve ancora venire, che vanno a pregare nelle sinagoghe, si appressano con grande fede al Muro del Pianto, ultimo baluardo delle grandi mura del tempio distrutto dall’imperatore romano Tito nel 70 dopo Cristo, e che vivono la loro quotidianità intrisa di speranza e di terrore. Perché mi sembra ovvio che attorno allo stato di Israele, dalla sua fondazione, si coalizzano in modo ossessivo le forze armate del terrorismo arabo e palestinese. L’atteggiamento del fedele ebreo, mi sembra tanto condizionato da questa situazione concreta di disperazione che immagino preghi Dio che liberi Israele dai nemici che lo opprimono, come tutta la Bibbia ricorda, in particolare nei Salmi.
Vediamo il fedele cristiano, quasi sempre di origine palestinese, che in condizioni di minorità sociale e economica si rivolge fiducioso a Dio-Gesù Cristo nelle tante chiese, tante quante sono le confessioni cristiane presenti a Gerusalemme, pregandolo di concedere la grazia della pace in quel martoriato angolo di mondo da sempre sotto il tiro della violenza e dell’oppressione. Poveri cristiani! Loro veri credenti nella pace e fautori di pace vedersi trattare come fossero dei nemici dello stato di Israele, perché palestinesi in gran parte, e quindi visti con sospetto e diffidenza anche dai loro concittadini musulmani, perché espressione della Chiesa di Roma.
E infine osserviamo il fedele di Allah e seguace del profeta Muhammad che puntualmente cinque volte al giorno prega al richiamo del muezzin e si rivolge ad Allah, clemente e misericordioso, e al venerdì va alla moschea dove a volte viene arringato dagli imam, o dalle altre autorità islamiche, a prepararsi alla guerra e al martirio, pronto per qualunque “intifada” e che cova dal lontano 1948 l’idea della vittoria sullo stato di Israele e proprio per questa terribile determinazione, pronto ad immolarsi suicidandosi, così assassinando altri incolpevoli e inermi cittadini.
Dei tre credenti, mi sembra che il cristiano sia il più esposto alla scomparsa dalla città santa, proprio perché preso tra due blocchi sociali e economici che gli rendono la vita sempre più difficile. D’altra parte i cristiani sono anche gli unici a perseverare nel loro sforzo di dialogare con tutte le altre fedi di quei territori.
Forse questa cultura di base, che manca sia agli ebrei che ai musulmani, li espone ancora di più ai rischi di esclusione sociale ma nello stesso tempo li rende attori credibili e testimoni convinti della convivenza senza odio e senza terrore.
Ecco perché è importante la presenza cristiana a Gerusalemme. I cristiani che praticano gli insegnamenti di Gesù saranno sempre perseguitati, subiranno sempre le angherie del potere politico e religioso delle altre fedi, però è anche vero che solo i cristiani hanno dalla loro la cultura del dialogo, e bene ha fatto e continua a fare la Chiesa di Roma, prima col Papa Benedetto XVI e ora con Papa Francesco, ad insistere su questo e a mettere in evidenza le contraddizioni di chi vorrebbe, come ai tempi di Gesù, far tacere la voce che stimola alla riflessione e alla conversione dei cuori. Altro che pace islamica! Ricordo banalmente che questa sarebbe possibile solo quando tutta l’umanità fosse musulmana, e quindi sottoposta ad una dittatura del potere religioso.
I cristiani hanno, quindi, un ruolo ancora strategico in quella città e in quei territori, sono ancora come ai tempi di Cristo segno di contraddizione nei riguardi di chi coltiva la violenza e la sopraffazione come criterio guida per il governo dei popoli.
Sono ancora i profeti inascoltati della parola di Dio che chiama tutti i popoli a salire sul suo monte santo!
Ingresso alla basilica del Santo Sepolcro