Il fascino della cultura degli schiavi africani deportati nelle Americhe ha da sempre provocato un profondo interesse nelle nostre culture tradizionali.
Basti pensare alle radici sulle quali si è innestata la sofferenza dei neri in quei territori tutti di matrice culturale cristiana, sia di origine cattolica come nel Sud America o di origine variamente protestante in prevalenza nel Nord America.
Oggi l'Europa si trova a vivere da tempo un periodo di transizione verso una cultura che tende a cancellare le proprie radici cristiane e anche giudaiche, se vogliamo. E' in atto da qualche decennio, da parte dei poteri che decidono le sorti del mondo, un grande lavoro di destrutturazione della tradizione occidentale così come l'abbiamo conosciuta fino alla rivoluzione del "famigerato" '68. Il nuovo che avanza, dal punto di vista culturale, possiamo benissimo definirlo un tempo nel quale le coordinate culturali sono molto identificabili nell'individualismo e nel relativismo.
Da qualche tempo, però, è in atto una rivoluzione silenziosa da parte delle popolazioni africane provenienti dalle nazioni ex coloniali dove il Cristianesimo si era radicato fino alla loro indipendenza. Le radici cristiane di quei territori hanno germinato numerose gemme maturate all'interno dei seminari di formazione religiosa e oggi molti sacerdoti africani sono presenti sempre più numerosi anche in diverse diocesi italiane, non solo in Vaticano tra le gerarchie ecclesiatiche.
Così anche nella Parrocchia dell'Annunciazione di Olmo-Martellago da tre anni è stato presente un sacerdote proveniente dalla Tanzania: don Straton Dithenya, oggi dottore in Diritto Canonico. Laurea conseguita all'Università Marcianum fondata al tempo del patriarcato del Cardinale Angelo Scola e retta da docenti dell'Università della Santa Croce di Roma.
Don Straton è stato un sacerdote molto apprezzato dai parrocchiani per la sua umiltà e per la sua discrezione. Per tutti e tre gli anni di presenza in parrocchia ha partecipato con assiduità e grande disponibilità agli incontri di preghiera del lunedì sera organizzati dal Gruppo di devozione alla Divina Misericordia, portando la sua testimonianza e la sua benedizione.
Ora, in prossimità del suo ritorno in Tanzania la comunità ha organizzato una serata del tutto speciale. Sabato 17 novembre alle ore 20.45 in Oratorio ci sarà una manifestazione musicale realizzata dal SOUL LIBERATION CULTURAL GOSPEL - PEACE & FREEDOM. Un gruppo di cantanti tutti provenienti dall'Africa che si esibirà in un concerto sui temi della sofferenza durante la schiavitù americana e della nostalgia per il ritorno alla terra natale proiettata, questa nostalgia, in chiave biblica verso la Gerusalemme celeste.
COMMISSARIATO DI TERRA SANTA DEL NORD ITALIA – CONVENTO SANT’ANTONIO DI MARGHERA
29° CONVEGNO DEGLI AMICI DI TERRA SANTA
16 SETTEMBRE 2018
“FRANCESCANI IN TERRA SANTA, UNA STORIA LUNGA 800 ANNI”
LA MISSIONE FRANCESCANA D’OLTREMARE FINO ALLA BOLLA “GRATIAS AGIMUS” (Ringraziamo)
(A cura del prof. Gianfranco Trabuio, pubblicista)
Logo della Custodia Francescana di Terra Santa
Inizio questa mia relazione con un invito rivolto a tutti di creare nel proprio cervello un’immagine storica delle vicende che stiamo narrando e per farlo è necessario fornire una mappa storica degli eventi che nel breve lasso di tempo assegnatomi provo a descrivere.
Intanto ringrazio fra Francesco Ielpo, Commissario della Custodia Francescana di Terra Santa per il Nord-Italia, per la fiducia accordatami nel darmi un incarico così importante per questo nostro 29° Congresso. Incarico, peraltro, molto impegnativo perché illustrare storicamente il periodo che vede la presenza francescana nei Luoghi Santi dai primi anni del 1200 fino alla Bolla Gratias Agimus di Papa Clemente VI nel 1342 non è né semplice né facile.
Troppi sono gli eventi importanti che si sono succeduti in questo secolo e mezzo, e il tempo non è sufficiente per una relazione abbastanza esaustiva per disegnare il quadro delle vicende che dovrebbero essere narrate.
Ho scelto quindi di parlarvi di un quadro iniziale, quando i primi frati arrivano in Palestina, e della scenografia finale quando la Chiesa cattolica romana istituisce formalmente la Custodia di Terra Santa incaricandone i Frati Francescani per la realizzazione concreta.
La presenza dei Francescani in Terra Santa risale agli inizi del XIII secolo.
A quel tempo il piccolo gruppo dei seguaci di S. Francesco divenne ben presto un grande Ordine Religioso (l 'Ordine dei Frati Minori), animato da fervore e da irrefrenabile dinamismo apostolico.
Lo stato e le linee del suo sviluppo vennero fissati dai Capitoli Generali, equivalenti ai "congressi" degli odierni partiti politici.
Al Capitolo Generale del 14 maggio1217, giorno della Pentecoste, tenutosi ad Assisi, i Francescani decisero di portare la testimonianza della loro vita e l'annuncio del Vangelo in ogni angolo della terra. Per rendere più capillare e più incisiva la loro azione apostolica, divisero il mondo, allora conosciuto, in zone territoriali, chiamate "Province".
Una delle Province, costituite nel suddetto Capitolo, ebbe il nome di Provincia di Terra Santa o, con termine più generico, di Provincia d'Oriente o d’Oltremare, che si estendeva a tutte le regioni, che gravitavano attorno al bacino sud-orientale del Mediterraneo, dall'Egitto fino alla Grecia e oltre.
La Provincia di Terra Santa comprendeva naturalmente la terra natale di Cristo e i luoghi, in cui si era realizzato il mistero della nostra Redenzione. Per tale motivo essa fu considerata la prima fra tutte le Province e, dopo l'apertura delle altre missioni dell'Ordine in tutto il mondo, fu insignita del titolo di PERLA DELLE MISSIONI FRANCESCANE fino ai nostri giorni.
Al Capitolo Generale del 1217, Francesco inviò frate Elia a iniziare, e quindi, a organizzare la presenza dei frati nelle terre d’oltremare, cioè in Terra Santa.
S. FRANCESCO IN TERRA SANTA
Francesco, intenzionato ad allargare la sua predicazione nelle terre dell’Islam, partì alla volta della Terra Santa per raggiungere i luoghi dove i Crociati combattevano gli infedeli. Si imbarcò il 24 giugno 1219 da Ancona con undici compagni e raggiunse la città di Damietta, in Egitto, in agosto, mentre da parte dei Crociati era in corso l’assedio alla città (che fu poi conquistata nel novembre). Era questa la quinta Crociata dal 1095, da quando cioè Urbano II per la prima volta aveva esortato alla liberazione di Gerusalemme e dei Luoghi Santi dal dominio dei seguaci di Muhammad. Indetta da Onorio III nel 1217, aveva come fine la riconquista di Gerusalemme, che il Saladino aveva rioccupato nel 1187. Il campo di battaglia si era spostato in Egitto: qui i Crociati progettavano di occupare l’importante porto di Damietta, da usare poi come merce di scambio con i regnanti della dinastia ayyubide, che dominava i territori della Palestina.
Francesco, giunto a Damietta, ottenne dal legato papale, il cardinale Pelagio Galvao, benedettino portoghese, il permesso (accordato con la specifica ufficiale che il frate agiva a suo rischio e pericolo) di avventurarsi disarmato in territorio musulmano. Il legato, infatti, malgrado la presenza dei capi cristiani (il re titolare di Gerusalemme Giovanni di Brienne, il re di Ungheria Andrea II e il duca d’Austria Leopoldo VI di Babenberg), come inviato del Papa, aveva il maggior peso decisionale.
Il fumetto storico pubblicato da Francesco Lucianetti e da Gianfranco Trabuio che ha conseguito il primo premio al Concorso Nazionale del fumetto "L'Unicorno"a Rovigo nel 2015
COL SULTANO
Francesco, predicando il Vangelo e i valori della fede cristiana, sperava di convertire il sultano egiziano ayyubide Malek al-Kamel (succeduto al padre, fratello del sultano Saladino il Grande, nel 1218) e i suoi soldati, per arrivare, quanto meno, ad una resa, così da evitare ulteriori spargimenti di sangue. Tra l’agosto del 1219 e la vittoria crociata del novembre stesso, Francesco e frate Illuminato furono nel campo saraceno. Alla presenza del proprio direttore spirituale e consigliere, Fakhr ad-din Fârisî, il sultano Malek al-Kamel incontrò con grande cortesia Francesco: «Per molti giorni predicò ai saraceni la parola di Dio, ma senza molto frutto», racconta il vescovo Giacomo di Vitry di S. Giovanni d’Acri in una lettera della primavera del 1220 a Onorio III.
Non sapremo mai di cosa parlarono e molte leggende sono fiorite intorno a quest’evento storico. Pur riconoscendo la straordinaria capacità di conversione del frate, il sultano rimase musulmano e, temendo piuttosto il cambiamento di fede da parte di qualcuno dei suoi, ordinò che il “poverello di Assisi” fosse ricondotto nel campo crociato e fornito di un salvacondotto per poter visitare la Palestina. Francesco si trattenne poco a Damietta, poi, attraversò la Palestina e la Siria, e ritornò in Italia.
La visita ai Luoghi Santi (non ancora dimostrata con certezza) avvenne tra il 1219 e il 1220. Racconta ancora il vescovo di S. Giovanni d’Acri: «Vedemmo giungere frate Francesco, fondatore dell’Ordine dei Frati Minori. Era un uomo semplice e senza lettere, ma amabilissimo e caro a Dio e agli uomini. Arrivò quando l’esercito dei Crociati era accampato sotto Damietta; fu subito rispettato da tutti». Il comportamento di Francesco indicò la strada per quello dei futuri missionari francescani: un’evangelizzazione in umiltà, l’amore e la venerazione dei Luoghi Santi come testimonianze dei momenti salienti della vita del Salvatore.
Avuto il salvacondotto dal sultano d'Egitto, Francesco si diresse verso la Palestina in visita ai santuari della Terra Santa. Se ne tornò poi in Italia, passando per la laguna di Venezia dove ancora oggi c’è il santuario di San Francesco del Deserto nell’isola omonima, e morì nel 1226 ad Assisi.
LA BOLLA DI GREGORIO IX: “SI ORDINIS FRATRUM MINORUM”
Premesso, allora, che i figli di San Francesco canonizzato il 16 luglio 1228 da Papa Gregorio IX, erano missionari nella Provincia d’Oltremare, era necessario dare alcune direttive di natura pastorale affinché fossero osservate all’interno delle gerarchie della Chiesa cattolica, ed ecco che Papa Gregorio IX, suo grande estimatore e protettore, pubblica un documento che costituisce per i Frati Minori la base legale e giuridica del loro insediamento a Gerusalemme e in Terra Santa. Ecco nella versione tradotta dal latino il contenuto di questo prezioso documento:
«Gregorio vescovo, servitore dei servitori di Dio, ai venerabili fratelli patriarchi di Antiochia e di Gerusalemme, legati della Sede Apostolica, a tutti gli arcivescovi e vescovi, ai Nostri amati figli abati, priori, superiori, diaconi, arcidiaconi e agli altri prelati della chiesa a cui le Nostre lettere giungeranno, salute e benedizione apostolica.
«Se voi considererete attentamente la regola dell'Ordine dei Frati Minori, potrete conoscere perfettamente che essi non desiderano i beni temporali, dato che, fin dall'inizio, hanno fondato la loro vita sulla povertà e di questa hanno fatto professione in special modo. Così come vi sembrerà più opportuno, accorderete loro il vostro aiuto tanto più facilmente in quanto non si presuppone in essi la ricerca e il conseguimento di un vantaggio temporale.
« Per questo, vi avvertiamo tutti e vi esortiamo vivamente ad attenervi a questo comando per lo stretto precetto delle lettere apostoliche: se qualche fedele o essi stessi volessero costruire degli oratori nelle vostre parrocchie, siccome cercano la salvezza delle anime e si consumano per esse, favorite benevolmente il loro progetto e permettete volontieri ai fratelli per questo istruiti e che hanno l'autorizzazione del loro padre provinciale di predicare nelle vostre parrocchie la parola di Dio.
« Non vogliamo, tuttavia, che essi ricevano le decime,le primizie, le offerte, né, che diano sepoltura ecclesiastica se non si tratta di Fratelli appartenenti all'Ordine. Inoltre, quando ne sarete richiesti, vogliate benedire i cimiteri concessi per il loro bisogno dalla Sede Apostolica, senza forzare gli stessi fratelli a incorrere in qualche sentenza di interdizione o di scomunica promulgata senza un mandato speciale della Sede Apostolica. Speriamo che possiate adempire il Nostro comando e il nostro precetto in maniera da mostrarvi degli zelatori della religione, in modo che possiate meritarvi il Nostro favore e la nostra benevolenza e in modo che non siamo costretti a provvedere personalmente a questi bisogni.
« Data a Perugia, alle calende di febbraio, nel terzo anno del Nostro Pontificato (1° febbraio 1230) »,
Questo atto pontificale che presuppone l'insediamento dei Francescani in Terra Santa vuole loro assicurare il favore del clero locale. È il modesto inizio di una serie di atti che condurranno alla costituzione definitiva dei custodi ufficiali dei Luoghi Santi, il 21 novembre 1342. Tra questo primo documento e l'ultimo, i fatti di cui la storia ha conservato il ricordo non permettono di tracciare un cammino ascendente che, sia attraverso gli insuccessi, che i successi, conduce dall'uno all'altro. Resta però certo che le istituzioni francescane della Palestina ricevono da questo primo documento un nuovo impulso.
LA PROVINCIA DI TERRA SANTA
La Provincia di Terra Santa continuò, anche dopo la morte di S. Francesco, ad essere trattata con speciale riguardo dalle autorità dell'Ordine.
Il Capitolo Generale di Pisa, tenutosi nel 1263 sotto il generalato di S. Bonaventura, considerato che la grande estensione della Provincia di Terra Santa ostacolava l'organizzazione di un lavoro apostolico adeguato alle particolari circostanze del luogo, decise di restringerne la competenza territoriale a Cipro, Siria, Libano e Palestina.
In conformità alle Costituzioni dell'Ordine di allora, anche la Provincia di Terra Santa era suddivisa in più distretti o circoscrizioni, chiamate "Custodie", comprendenti i conventi di una determinata regione.
Vi erano così le Custodie di Cipro, di Siria, e quella di Palestina, detta più propriamente "Custodia di Terra Santa", formata, durante il secolo XIII, dai conventi di Acri, Antiochia, Sidone, Tripoli, Tiro, Giaffa e Gerusalemme.
Alcuni di questi conventi ebbero una vita piuttosto breve come, ad esempio, quelli di Gerusalemme e Giaffa, che durarono sì e no una decina d'anni.
La caduta di S. Giovanni d'Acri in mano musulmana il 18 maggio 1291 segnò non solo la fine dell'epopea crociata e del Regno Latino di Gerusalemme, ma determinò anche il temporaneo ritiro dei Francescani dalla Terra Santa.
Essi, dopo l'instaurazione del nuovo dominio musulmano in Palestina, si rifugiarono a Cipro, dove aveva sede il Ministro Provinciale della "Provincia di Terra Santa" o "d'Oriente", da cui dipendeva la Custodia di Terra Santa. Di lì programmarono e avviarono gradualmente il loro ritorno a Gerusalemme e nelle altre zone della Palestina.
Il Papa Giovanni XXII, nel 1328, diede facoltà al Ministro Provinciale di Terra Santa di inviare ogni anno due suoi frati nei Luoghi Santi. Il che sta a dire che i Francescani, nonostante i cristiani fossero banditi ufficialmente dalla Palestina, continuarono ad esservi presenti e ad esercitarvi una qualche forma di apostolato.
Da vari indizi storici si sa che alcuni Francescani erano presenti al servizio del Santo Sepolcro nel periodo fra il 1322 e il 1327.
Il definitivo ritorno e insediamento dei Francescani in Terra Santa, unitamente al possesso legale di determinati santuari e al diritto di uso di altri, avvenne per l'interessamento e la munificenza di Roberto d'Angiò e della consorte Sancia di Maiorca, reali di Napoli, i quali, dopo laboriose trattative con il sultano d'Egitto, condotte con la mediazione di Fra Roger Guerin d’Aquitania nel 1333 acquistarono con denaro sonante il Cenacolo e ne trapassarono la proprietà ai Francescani che, sempre con i fondi della regina Sancia, eressero accanto ad esso un convento.
I Reali di Napoli ottennero pure che i Francescani fossero officianti abituali nella basilica del Santo Sepolcro e stabilirono che godessero di tali diritti "in nome e per conto della cristianità".
Da fonti storiche si sa che la somma pagata al Sultano dai reali di Napoli equivarrebbe a 3 milioni di franchi d’oro del tempo, e per avere un’idea di quanto è stato dato ho fatto due conti: tenuto conto che un franco d’oro pesava 3,87 grammi, al costo attuale dell’oro di 34 Euri al grammo, la spesa sarebbe stata pari a 394 milioni di Euri, ovvero nelle vecchie lire, per essere più efficaci, 764 miliardi e 261 milioni. Anche a quel tempo gli islamici erano molto sensibili al denaro.
Ingresso della Baslica del Santo Sepolcro a Gerusalemme
LE BOLLE DI PAPA CLEMENTE VI
Papa Clemente VI, con le Bolle "Gratias agimus" e "Nuper carissimae" del 21 novembre 1342, sancì l'operato dei Reali di Napoli ed emanò disposizioni per il buon funzionamento della nuova entità ecclesiatico-religiosa.
Queste due Bolle sono, in pratica, l'atto costitutivo della nuova Custodia di Terra Santa.
Potevano far parte di questa entità frati provenienti da tutte le Province dell'Ordine (internazionalità della Custodia), i quali, una volta a servizio della Terra Santa, passavano sotto la giurisdizione del "Padre Guardiano del convento del Monte Sion" in Gerusalemme, dipendente a sua volta dal Ministro Provinciale di Terra Santa, con sede a Cipro.
Da allora i Frati Minori divennero i custodi dei Luoghi Santi per volontà e mandato della Santa Sede.
SVILUPPI SUCCESSIVI
Nel 1347 i Francescani si insediarono definitivamente anche a Betlemme presso la basilica della Natività di Nostro Signore.
Secondo i primi Statuti di Terra Santa, risalenti al 1377, i frati addetti al servizio dei Luoghi Santi (S. Cenacolo, S. Sepolcro e Betlemme) non dovevano essere più di venti. Era loro compito assicurare il funzionamento liturgico dei citati santuari e prestare assistenza religiosa ai pellegrini.
Da notare che in un documento del 1390 si specifica che la Provincia di Terra Santa, avente sede a Cipro, tra le Custodie, da essa dipendenti, ne contava una col nome di "Custodia di Siria", comprendente quattro conventi: Monte Sion, S. Sepolcro, Betlemme e Beirut.
Dal numero e dal nome dei conventi appare chiaro che la Custodia di Siria era l'equivalente della Custodia di Terra Santa. Se essa veniva menzionata con il nome di "Siria", era per non ingenerare confusione fra questo organismo e la Provincia di Terra Santa, avente sede a Cipro.
Negli ultimi anni del secolo XIV la Custodia dei frati, operanti in Palestina, raggiunse un'im¬portanza preponderante nell'ambito della Provincia, da cui dipendeva, fino ad assumere un ruolo praticamente autonomo. E' così che venne attribuita ad essa, anziché alla Provincia, da cui ancora dipendeva, la denominazione di "Terra Santa". Da allora in poi essa porterà questo pre¬ciso titolo: "Custodia di Terra Santa", col compito specifico, come dicono le parole stesse, di "custodire" i Luoghi santi.
IL MARTIRIO DEI FRATI E DEI FEDELI CATTOLICI
Una delle tante rappresentazioni iconografiche del martirio dei frati francescani (le fonti elencano circa 2000 frati martiri, dall'inizio della loro presenza a oggi, per mano degli islamici).
In questo primo periodo ufficiale della sua storia, la Custodia ebbe il “sigillo del martirio” con il sacrificio di parecchi suoi frati. Il primo sangue francescano bagnò la terra di Gerusalemme nel 1244, durante l'irruzione dei Carismini, i quali passarono a fil di spada numerosi cristiani e trucidarono crudelmente i Frati Minori.
Altri, ricordati da Alessandro IV, subirono il martirio nel 1257. Nove anni dopo, a Safet nel 1266, oltre duemila combattenti cristiani morirono dopo l'occupazione della città da parte del Sultano Bibars. Assieme a loro morirono anche gli eroici frati che non vollero rinnegare la loro fede. Nel 1268 anche Giaffa e Antiochia ebbero le loro vittime francescane. Di nuovo in Siria, nel 1269, caddero sotto la spada saracena otto frati. Si narra di come, sul corpo di uno di essi, Fra Corrado de Hallis, galleggiante sulle onde del mare, brillarono per quasi tre giorni due lumi fulgenti. A Damasco e a Tripoli, nel 1277, nuovo sangue cristiano venne versato per mano delle armate del Sultano Kelaun.
Acri, ultimo baluardo del Regno Latino, nel 1291, fu assalita dal Sultano Melek el Ascaraf. Oltre trentamila cristiani e numerosi frati caddero, in quell’occasione, per mano dei saraceni.
Conclusione (da una riflessione di fra Pacifico Sella ofm, docente di Storia della Chiesa all’Antonianum di Roma)
La vicenda crociata sperimentata da Francesco e il suo incontro con il Sultano di Egitto, comportò per il Santo un'entrata in crisi di tutte quelle certezze comuni al mondo medievale intorno ai musulmani: la loro pietà e la loro fede nel Dio unico devono aver certamente fatto breccia nel suo cuore. Capì che si sarebbero fatti uccidere piuttosto di abiurare al loro credo. E allora bisognava battere una nuova strada nei loro confronti: se prima li si combatteva con l'intento di estirpare la loro presenza ereticale e porre soluzione ai danni che ne derivavano, ora bisognava nei loro confronti adottare un'altra forma di «lotta», quella della testimonianza cristiana fatta di silenzio e minorità. Questo criterio sarà fissato definitivamente da Francesco nel cap. XVI della Regola non bollata, che poi troverà la sua soluzione canonica nei cap. III e XII della Regola bollata.
Ciò determinò l'inizio di una nuova forma di evangelizzazione missionaria che trovò la sua immediata realizzazione da parte di quei frati che andavano tra gli infedeli, presso cioè i musulmani del nord Africa e quelli dei luoghi santi, e i pagani, in prevalenza mongoli, dell'estremo Oriente asiatico, come mostra l'esempio mirabile di Giovanni da Montecorvino.
Il contributo dato da Francesco con la sua partecipazione mite alla V crociata e la sua inerme testimonianza cristiana davanti al sultano sono alla base di un nuovo stile missionario. A noi il prenderne consapevolezza per aderirvi sempre più, ben sapendo che, come Francesco insegna, l'evangelizzazione inizia solo là dove ci sia un'autentica testimonianza di vita «crocifissa» (= sottomessa) per poter parlare di colui che per noi si sottomise all'obbrobrio della croce.
COR AMANDO
L’ignoto non è visibile
forse neanche udibile
le nostre parole nate dal cuore
inondano l’etere
e fluiscono verso antenne lontane
chissà come arrivano a destinazione
quali distorsioni
quanti campi avversi
l’angoscia ti prende
non sai come catturare
momenti di estasi
rari e sfuggenti
tra queste montagne
tutto è aspro e difficile.
Forcella Déona, 18 agosto 2018
SUL TORRENTE RITE A CIBIANA DI CADORE
11 AGOSTO 2018
L’immagine di quella roccia salda e imponente
investita dalla violenza impetuosa del torrente
manda un’effervescenza di spruzzi e rigurgiti d’acqua
ma quella roccia mai si sposterà
solo quando una tempesta d’acqua
smuoverà una roccia più grande
forse riuscirà a spostarla.
Mi vedo in quel masso tenace
che la violenza degli eventi della mia vita
non ha spostato
sono ancora fermo
come una prova di resistenza con la vita
ho bisogno di una tempesta
per far fluire quella roccia
che ancora resiste.
PREMESSA.
Ci sono occasioni nella vita che vale la pena di cogliere al volo. Certamente un evento di questo livello è talmente accattivante che lasciarlo perdere per motivi legati alla stagione non è molto opportuno. Quattro professionisti di una delle orchestre più importanti d'Italia non arrivano a Olmo per effetto del caso, è un segno inequivocabile che il disegno è un po' più ampio.
Noi della famiglia saremmo oltremodo gratificati dalla vostra partecipazione, Mara dal suo osservatorio guarderà con interesse e curiosità e commossa quanto faremo quella sera.
I musicisti insieme con noi abbiamo scelto questa straordinaria composizione di Franz Joseph Haydn proprio per fare un parallelo ideale tra l'exitus del Nostro Signore Gesù Cristo e quello di ciascuno di noi. Anche Mara ha vissuto con intensità emotiva nella luce del Signore questo passaggio e, per chi le è stato vicino, ha anche avuto parole di speranza.
Il libretto di sala conterrà quanto sarà ora descritto, per donare a tutti i partecipanti un momento di riflessione e di approfondimento su questa straordinaria interpretazione musicale del grande compositore austriaco, che per molti anni ha vissuto nella reggia dei principi Esterhazy in Ungheria dove ho avuto modo di passare con uno dei discendenti qualche anno fa. Era nota al tempo di Haydn come la copia della reggia di Versailles.
INTRODUZIONE AL CONCERTO
La devozione alle "Sette parole di Gesù Cristo sulla croce" risale al XII secolo. In essa vengono riunite quelle parole che secondo la tradizione dei quattro Vangeli sono state pronunciate da Gesù sulla croce allo scopo di trovarne motivi di meditazione e di preghiera. Attraverso i francescani essa attraversò tutto il Medioevo e furono collegate alla meditazione sulle "Sette ferite di Cristo" e reputate rimedio contro i "Sette vizi capitali".
Le ultime parole di una persona sono particolarmente affascinanti. Per noi essere vivi significa stare in comunicazione con gli altri. In questo senso, la morte non è solo la fine della vita, è silenzio per sempre. Pertanto ciò che diciamo davanti al silenzio imminente della morte è particolarmente rivelatore. Leggeremo con questa attenzione le ultime parole di Gesù, come quelle annunciate dal Verbo di Dio prima del silenzio della sua morte. Sono le sue ultime parole sul Padre suo, su di sé e su di noi, che proprio perché ultime hanno una singolare capacità di rivelare chi è il Padre, chi è lui e chi siamo noi. Queste ultime sette parole la tomba non le inghiottì. Esse vivono ancora. La nostra fede nella Risurrezione significa che la morte non riuscì a far tacere il Verbo di Dio, che egli ha infranto per sempre il silenzio della tomba, di qualunque tomba, e che per questo le sue sono parole di vita per chiunque le accoglie.
Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce o Le sette ultime parole di Cristo sulla croce.
La composizione fu commissionata da don José Sáenz de Santa María per le celebrazioni del Venerdì Santo nella chiesa della Santa Cueva di Cadice (Spagna), nel 1786, ove si teneva una particolare cerimonia in occasione dei riti cristiani della Passione. Nella chiesa completamente oscurata da pesanti panni scuri apposti alle finestre, il celebrante recitava in latino le sette parole(brevi frasi) che la tradizione cristiana ricorda come le ultime pronunciate da Gesù sulla croce. Dopo l'enunciazione di ogni parola il celebrante ne proponeva un commento al quale seguiva un intervento musicale in funzione meditativa.
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L'oratorio della Santa Cueva a Cadice.
QUARTETTO D’ARCHI – MUSICISTI
VIOLINO: Michele Lot. Si diploma al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia nel 1984 col massimo dei voti e la lode, sotto la guida di Renato Zanettovich.
Si perfeziona con i maestri Piero Farulli, Paolo Borciani e Dario De Rosa. Vince 12 concorsi di musica da camera, alcuni internazionali. Dal 1984 insegna violino presso il Conservatorio “Agostino Steffani” di Castelfranco Veneto, formando affermati allievi ora impegnati in importanti orchestre.
Ha suonato in tutti i teatri del mondo, ricordiamo solo la Tonhalle di Zurigo, la Carnegie Hall di New York, il Musikverein di Vienna, il Liceu di Barcellona e il Concertgebouw di Amsterdam.
VIOLINO: Fulvio Furlanut. Compie gli studi musicali presso il Conservatorio “C. Pollini” di Padova, diplomandosi col massimo dei voti e ottenendo una borsa di studio quale miglior diplomato dell’anno. Continua a perfezionarsi partecipando alle “masterclass” del Maestro Victor Liebermann al Conservatorio di Utrecht (Olanda).
Nel 1999 dopo audizione viene invitato quale Primo Violino dall’Orchestra Sinfonica Toscanini.
Nel 2001 vonce il Concorso presso l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, con la quale collaborerà fino al 2008. Nel luglio dello stesso anno vince il concorso come Assistant Concertmaster nell’Orchestra “Gran Teatro La Fenice” di Venezia.
Ha suonato in tutti i principali Teatri italiani e per i più famosi Festivals Internazionali collaborando con importanti artisti: Mstislav Rostropovich, Riccardo Muti, Riccardo Chailly, Georges Prêtre, Sir John Eliot Gardiner, Daniel Harding, Myung Whun Chung, Eliahu Inbal, Juraj Valchua, Christian Thielemann.
VIOLA: Ilario Gastaldello. Ha compiuto gli studi musicali diplomandosi in Viola presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia e successivamente diplomandosi in Composizione presso il Conservatorio “J. Tomadini”.
Si è laureato in Lettere con tesi di argomento musicologico presso l’Università Cà Foscari di Venezia.
Affermatosi in occasione di rassegne e concorsi in ambito nazionale, ha ricoperto il ruolo di prima viola nell’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, dopo aver seguito corsi di perfezionamento tenuti da affermati musicisti (Asciolla, Bashmet).
Svolge attività concertistica in ambito cameristico e talvolta solistico, affrontando repertori storicamente diversi (dal periodo barocco al ‘900).
Attualmente è docente di Viola al Conservatorio “J. Tomadini” di Udine.
VIOLONCELLO: Nicola Boscaro. Diplomatosi nel 1984 al Conservatorio “B. Marcello” di Venezia col massimo dei voti sotto la guida di Adriano Vendramelli, è stato primo violoncello della RAI di Torino, della Filarmonica di Udine, dell’Orchestra da Camera di Padova, e della Filarmonia Veneta.
Dal 1985 è concertino dei violoncelli a La Fenice di Venezia. Nell’ambito della musica da Camera ha collaborato con Giovanni Guglielmo, Giuliano Carmignola, Mario Brunello, Roberto Baraldi, e con il “Triodellarco” ha all’attivo concerti in Giappone, Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Austria, in Ungheria e in Italia.
Struttura dell'opera
La struttura della composizione, come stabilita nelle esecuzioni contemporanee, è la seguente:
• Introduzione (Maestoso e adagio) in Re minore
• Sonata I (Largo) in Si♭ maggiore, Pater, dimitte illis, quia nesciunt quid faciunt (Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno)
• Sonata II (Grave e cantabile) in Do minore, Hodie mecum eris in Paradiso (Oggi sarai con me in Paradiso)
• Sonata III (Grave) in Mi maggiore, Mulier, ecce filius tuus (Donna, ecco tuo figlio)
• Sonata IV (Largo) in Fa minore, Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me? (Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?)
• Sonata V (Adagio) in La maggiore, Sitio (Ho sete)
• Sonata VI (Lento) in Sol minore, Consummatum est (Tutto è compiuto)
• Sonata VII (Largo) in Mi♭ maggiore, In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum (Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito)
• Terremoto (Presto e con tutta la forza) in Do minore.
DEVOZIONE DELLE ULTIME SETTE PAROLE DI GESÙ CRISTO SULLA CROCE
PRIMA PAROLA
"PADRE, PERDONA LORO, PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO" (Lc 23,34)
La prima parola che Gesù pronuncia è un'invocazione di perdono che egli rivolge al Padre per i suoi crocifissori. Il perdono di Dio significa che osiamo affrontare ciò che abbiamo fatto. Osiamo ricordare tutto della nostra vita, con i fallimenti e le sconfitte, con le nostre debolezze e la mancanza d'amore. Osiamo rammentare tutte le volte in cui siamo stati meschini e ingenerosi, la bassezza morale delle nostre azioni.
SECONDA PAROLA
"IN VERITÀ IO TI DICO: OGGI SARAI CON ME NEL PARADISO" (Lc 23,43)
La tradizione è stata saggia a chiamarne uno "buon ladrone". È una definizione appropriata, poiché lui sa come impossessarsi di ciò che non è suo: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). Mette a segno il più strabiliante colpo della storia: ottiene il Paradiso, la felicità senza misura, e lo ottiene senza pagare per entrarvi. Come possiamo fare noi tutti. Dobbiamo solo apprendere ad osare i doni di Dio.
TERZA PAROLA
"DONNA, ECCO TUO FIGLIO! ECCO TUA MADRE!" (Gv 19,2627)
Nel Venerdì Santo vi è stata la dissoluzione della comunità di Gesù. Giuda lo ha venduto, Pietro lo ha rinnegato. Sembra che tutte le fatiche di Gesù per edificare una comunità siano fallite. E nel momento più buio, vediamo questa comunità nascere ai piedi della croce. Gesù dà alla madre un figlio e al discepolo prediletto una madre. Non è una comunità qualunque, è la nostra comunità. Questa è la nascita della Chiesa.
QUARTA PAROLA
"DIO MIO, DIO MIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?" (Mc 15,34)
Improvvisamente per la perdita di una persona cara la nostra vita ci appare distrutta e senza scopo. "Perché? Perché? Dov'è Dio ora?". E noi osiamo essere terrorizzati nel renderci conto che non abbiamo nulla da dire. Ma se le parole che affiorano sono di assoluta angoscia, allora ricordiamo che sulla croce Gesù le fece sue. E quando, nella desolazione, non sappiamo trovare nessuna parola, nemmeno per gridare, allora possiamo prendere le sue parole: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
QUINTA PAROLA
"HO SETE" (Gv 19,28)
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù incontra la donna samaritana a un pozzo del patriarca Giacobbe e le dice: "Dammi da bere". Al principio e alla fine del racconto della sua vita pubblica, Gesù ci chiede con insistenza di soddisfare la sua sete. Ecco come Dio viene a noi, sotto le spoglie di una persona assetata che ci chiede di aiutarlo a dissetarsi al pozzo del nostro amore, qualunque sia la qualità e la quantità di tale amore.
SESTA PAROLA
"TUTTO È COMPIUTO" (Gv 19,30)
"È compiuto!". Il grido di Gesù non significa solo che tutto è finito e che ora lui morirà. È un grido di trionfo. Significa: "è completato!". Ciò che lui dice letteralmente è: "È reso perfetto" All'inizio dell'Ultima Cena l'evangelista Giovanni ci dice che "avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine", cioè all'estremo delle sue possibilità. Sulla croce vediamo tale estremo, la perfezione dell'amore.
SETTIMA PAROLA
"PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO" (Lc 23,46)
Gesù ha pronunciato le sue ultime sette parole che invocano il perdono e che conducono alla nuova creazione della "Domenica di Pasqua". E poi riposa in attesa che finisca questo lungo sabato della storia e giunga finalmente la domenica senza tramonto, quando l'umanità intera entrerà nel suo riposo. "Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro" (Gen 2,2).
Oramai da molto tempo si sta diffondendo, grazie allo sviluppo dei modelli di comunicazione mutuati dalla Programmazione Neurolinguistica, l'utilizzo delle strategie dell'ipnosi clinica nel trattamento degli stati di sofferenza sia fisica che psicologica. Le scoperte realizzate nell'ambito delle neuroscienze ha consentito di rendere fruibili a un pubblico sempre più vasto tali scoperte, grazie agli specialisti che le utilizzano.
Ecco dove potrebbe risiedere la mente, la coscienza ......l'anima
Proprio per consentire a un gruppo motivato di interessati a questo argomento viene proposto un week-end lungo con l'apporto di uno specialista internazionale.
L’evento che si svolgerà nei giorni 22, 23 e 24 giugno 2018 ha lo scopo di insegnare ai corsisti dei modelli di strategia per usare la mente per generare benessere, sfruttando le tecniche più avanzate della Programmazione Neurolinguistica (PNL) e dell’Ipnoterapia. Il docente Giancarlo Russo è un Fisioterapista specializzato nella riabilitazione dei disordini muscolo scheletrici e in riabilitazione pediatrica si occupa di Ipnosi da circa 25 anni ed inoltre è il primo Fisioterapista ad avere inserito protocolli ipnotici all’interno della pratica riabilitativa fisioterapica.
Svolge conferenze sull’Ipnosi in ambito sanitario in tutto il mondo e tiene seminari sulle applicazioni cliniche delle strategie ipnotiche sia in Italia che all’estero.
Nel 2016 ha inserito l’Ipnosi all’interno dell’Università degli Studi di Napoli Federico II insegnando a medici, psicologi, fisioterapisti ed infermieri le tecniche di induzione ipnotica più diffuse e le applicazioni pratiche in campo sanitario.
Seguendo le metodologie di Giancarlo Russo ognuno sarà in grado di iniziare un percorso di miglioramento personale e allo stesso tempo di conoscere alcune tecniche che lui utilizza nella cura dei suoi pazienti. Non sarà possibile padroneggiare queste tecniche alla fine del corso, ma lo stimolo che nascerà dalla conoscenza di questo vasto argomento indirizzerà molti ad uno studio personale e proficuo, concentrandosi sul miglioramento di alcuni punti di conflitto personali.
Giancarlo Russo ci dirà che laddove il male non può essere più gestito con le medicine, la mente può operare per gestire il dolore. Ci porterà la sua esperienza ed i suoi successi, codificati in protocolli di terapia, con ammalati da ogni parte del mondo, incentivando i presenti ad un approfondimento delle sue tecniche.
Ci saranno momenti di lavoro di gruppo, dimostrazioni pratiche di avanzate tecniche ipnotiche, che ormai da qualche anno hanno fatto irruzione nei reparti degli Ospedali. Se qualcuno ancora dubitasse della scientificità dell’Ipnosi terapia basterà che segua senza pregiudizi le spiegazioni di Giancarlo, il quale non mancherà di far presente come dell’ipnosi se ne servano quotidianamente medici di ogni specializzazione come supporto alle terapie tradizionali.
Chi invece pensa di assistere ad uno show invece è bene che rifletta sul fatto che attualmente l’ipnosi è una modifica di coscienza detta anche monoideismo plastico in cui tutte le energie della mente sono focalizzate su un’immagine o una visualizzazione, allo scopo di diminuire l’importanza della parte critica e logica del nostro pensiero. L’ipnosi porta ad uno stato di concentrazione focalizzata, in cui è possibile risolvere alcune delle criticità che ci impediscono di vivere serenamente.
Quindi non aspettiamoci qualcosa di eclatante in stile televisivo, ma aspettiamoci di imparare le migliori tecniche per far lavorare la mente in nostro favore, aiutati da un professionista serio, che le insegna quotidianamente a medici e personale sanitario, applicandole egli stesso nella sua professione.
PROGRAMMA DEL SEMINARIO
Venerdì 22 Giugno 2018: 14.30-18.30, “Strategia dell’induzione ipnotica, basi scientifiche e metodologiche”;
Sabato 23 Giugno 2018: 9.30-13, pausa pranzo, 14.30-18.30, “L’induzione ipnotica nella gestione del dolore”;
Domenica 24 Giugno 2018: 9.30-13, pausa pranzo, 14.30-17 “Applicazioni pratiche delle strategie ipnotiche con particolare attenzione alla gestione del dolore”.
Il dottor Russo imposta la sua attività di docente con il coinvolgimento operativo dei partecipanti, i quali impareranno concretamente come si procede per realizzare un’induzione ipnotica.
Il costo di partecipazione al seminario è di 90 Euro a persona.
La sede del Seminario è presso la Villa Cardinal Urbani in via Visinoni 4/C a Zelarino nei pressi di Mestre, con accesso dalla Via Castellana, che da Mestre va a Castelfranco Veneto. Dalla Tangenziale di Mestre USCITA CASTELLANA.
Per la pausa pranzo è disponibile il ristorante della Villa che può preparare ricette dietetiche e vegane al costo di 17 euro comprese bevande e caffè.
Per informazioni e iscrizioni con prenotazione obbligatoria: Gianfranco Trabuio, Statistico, Master PNL alla Scuola del dottor Marco Paret.
e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
cell. 368 3823980
oppure: Antonella Trabuio
e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. cell. 338 3547247
Proprio in questi giorni ci vengono veicolati dal “media system” alcuni fatti emblematici del fenomeno culturale che si sta delineando all’orizzonte del nostro mondo italiano.
Mi riferisco ad almeno tre di questi eventi che stanno scuotendo dalle fondamenta il sistema valoriale di riferimento contenuto nella nostra Carta Costituzionale, ma ancor prima gli stessi principi erano stati fatti propri dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo deliberata dall’ONU nel lontano 1948.
Il sistema di potere oggi in Italia sta perseguitando chi non si allinea al “politicamente corretto” come risulta dai seguenti eventi:
1- i medici che si permettono di porre il problema della efficacia o della pericolosità delle vaccinazioni multiscopo vengono radiati dall’ormai famigerato Ordine professionale dei Medici; questo comporta per quei medici la impossibilità di esercitare la loro professione pena la denuncia alle autorità competenti e la correlata condanna, trattandosi di un reato penale secondo la nostra legislazione;
2- un’associazione validamente costituita per promuovere la conoscenza scientifica della vita dal concepimento alla morte naturale, viene perseguita penalmente con il reato di diffamazione, per aver esposto un manifesto gigante che illustra un fatto naturale e scientificamente provato come il “prodotto del concepimento” che sta crescendo nell’utero materno;
3- una laureata in medicina e chirurgia, psicoterapeuta e scrittrice di successo, che si permette di divulgare le acquisizioni scientifiche raccolte in anni di libera professione intorno al tema della omosessualità, viene denunciata per diffamazione dalle associazioni del variopinto mondo dell’omosessualità, del transessualismo e correlati movimenti ormai diventati virulenti nel corpo sociale del nostro mondo occidentale.
Ora, una domanda sorge spontanea: ma il diritto alla libertà di pensiero, il diritto alla libertà di parola, il diritto alla libertà di espressione che venivano tanto strombazzati qualche decennio fa dal sistema culturale facente capo alle lobbies della sinistra italiana e europea che fine hanno fatto?
E un parallelo dubbio sorge altrettanto spontaneo: ma ci stiamo islamizzando? Ovvero, sta prendendo il sopravvento la Carta dei diritti dell’Islam secondo la quale i diritti sopra menzionati vigono nelle comunità islamiche a patto che non contraddicano la Sharia, la legislazione mutuata dalle Sure del Corano?
Nel nostro Occidente post-cristiano il sistema di potere ha abiurato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo promulgata dai fondatori degli Stati Uniti d’America e fatta propria dall’ONU, per sottomettersi alla nuova dittatura del “politicamente corretto”? Ebbene, sembra proprio di sì.
E qui, ora, non posso fare a meno di citare il buon Voltaire nel suo Dizionario Filosofico: " ... ma il fatto è che ci sono molti uomini destinati a ragionar male, altri a non ragionare affatto, e altri a perseguitare quelli che ragionano".
Troppi sono i fatti che ci colpiscono nella loro rivoluzionaria perversione che mira a distruggere quelli che solo alcuni decenni orsono erano i fondamenti valoriali delle nostre legislazioni. Oramai il sistema di potere a livello internazionale sta imponendo le sue innovative coordinate basate sulla costituzione del “Nuovo Ordine Mondiale”, tutto basato sulla dittatura del relativismo filosofico e etico che prevede la eliminazione delle religioni e dei principi sui quali l’Occidente si è formato nei secoli e ha prodotto lo sviluppo, non solo economico, del quale noi siamo stati i beneficiari e i promotori.
Per tentare di capire questa complessità siamo tutti invitati a partecipare all’incontro promosso dal PDF: Partito della Famiglia, che si terrà domenica pomeriggio presso la sede dell’Università Salesiana nella località Gazzera a Mestre, proprio con la dottoressa Silvana De Mari in attesa di processo per il reato di diffamazione e denunciata dal Circolo Mario Mieli di Roma e con l'avvocato Gianfranco Amato, fondatore del PDF: Partito della Famiglia.
MONASTERO DELLA VISITAZIONE, TREVISO.
12 MARZO 2108
CONFERENZA SU SAN GIUSEPPE.
Tra pochi giorni sarà la festa di S. Giuseppe, penso sia doveroso leggere questo dettato di Maria SS. che (nei testi valtortiani) ci spiega che anche Giuseppe ebbe la sua passione, come Gesù e come lei stessa. Ed è molto facile immaginarsi di che cosa stia parlando la nostra Mamma celeste, pensando a quel famoso giorno quando lui arrivò a Gerusalemme per riportare la sposa a Nazareth (di ritorno dalla sua visita alla cugina Elisabetta) e si accorse che Maria era incinta!
Maria ci svela la Passione di S. Giuseppe
Ma, prima di passare a riflettere sul testo Valtortiano è necessario inquadrare il ruolo di San Giuseppe nella Storia della Salvezza.
Non ha senso disquisire su singoli fatti o singoli personaggi se non si fa uno sforzo di illustrare il significato della Creazione da parte di Dio Padre.
È utile e necessario entrare in questa storia immaginando di essere come davanti a un affresco delle nostre stupende chiese medievali, ecco, chiudiamo gli occhi e guardiamo con gli occhi del cuore questa storia che ci verrà narrata direttamente dalla Madonna.
Icona di San Giuseppe col Gesù Bambino
Quando Dio creò il mondo, creò l’uomo e da questo creò la donna, certamente sapeva come sarebbe andata a finire dal momento che dopo aver creato anche gli angeli, una folta schiera di questi guidati da Lucifero si ribellarono pretendendo di essere simili al Dio Creatore.
Da quella separazione da Dio per atto di superbia discende la nostra storia ancora oggi. È dal peccato originale che dobbiamo partire, quando il Creatore profetizza al diavolo tentatore e a Eva e Adamo che avrebbe mandato una donna che avrebbe schiacciato la testa al seduttore e che da questa donna sarebbe nato il Redentore dell’umanità. L’Emmanuele che avrebbe riportato l’umanità nell’alveo della salvezza grazie al suo sacrificio sulla croce.
Il culto a san Giuseppe attraverso i secoli
I Vangeli nominano san Giuseppe una quindicina di volte, ma senza mai registrare una sola sua parola; così che sarebbe più facile scrivere sui silenzi del Santo che non sulla sua vita. La stessa sua morte non è menzionata in nessun luogo. E in seguito, dovranno passare parecchi secoli, prima di trovare tracce di vera devozione a lui.
Bisognerà attendere san Bernardo (1090-1153), san Francesco d'Assisi (1182-1226) e le Crociate (secc. XII-XIII) per vedere sviluppato il culto a lui dovuto.
Solo nel sec. XII, infatti, si riscontra che molte chiese d'Occidente celebrano la memoria di san Giuseppe.
Una vera crescita del suo culto si ha nel sec. XV, soprattutto per merito di alcuni santi e dottori della Chiesa e, nel secolo seguente, spicca lo zelo giuseppino da parte di Ordini religiosi sorti dopo il Concilio di Trento, concluso nel 1563.
Si distingue, in particolare, santa Teresa di Gesù - santa Teresa d'Avila - (1515-1582), che dedica a san Giuseppe i primi monasteri del Carmelo e si affida a lui, considerandolo suo padre e suo maestro.
Seguono poi san Francesco di Sales (1567-1622), san Pietro d'Alcantara (1499-1562). sant'Ignazio di Lojola (1491-1556) e Giacomo Olier (1608-1657), che con le loro famiglie religiose cercano di imitare l'esempio di santa Teresa. Motivo per cui Gregorio XV, papa dal 1621 al 1623, confermò la festa in onore di san Giuseppe, già fissata per il 19 marzo da Urbano VIII.
Finalmente Pio IX, aderendo alla richiesta del Concilio Vaticano I, coronava san Giuseppe con il titolo di Patrono della Chiesa universale, e il 27 aprile 1865 accordava per il mese di san Giuseppe (marzo) le stesse indulgenze concesse per il mese di maggio dedicato alla Madonna.
Il suo successore poi, Leone XIII, nell'enciclica Quamquam pluries (dedicata alla devozione del Santo Rosario e alla devozione di San Giuseppe) del 15 agosto 1889, applicando a san Giuseppe le parole che il faraone d'Egitto aveva detto a Giuseppe figlio di Giacobbe: «Ite ad Joseph!» andate a Giuseppe, raccomandava nuovamente la devozione al gran Santo, specialmente nel mese di marzo.
San Pio X, inoltre, al principio del secolo scorso, approvava le Litanie di san Giuseppe e riconosceva in san Giuseppe il patrono dei moribondi, delle famiglie cristiane e degli operai, nonché il custode delle vergini.
Assai devoto del gran Santo di Nazareth fu pure il papa Pio XII, il quale, parlando il 7 settembre 1947 agli uomini di Azione Cattolica, riuniti in piazza San Pietro, li esortava a ricorrere a san Giuseppe:
- per salvare la famiglia minacciata dalla corrente materialista,
- per realizzare una miglior giustizia sociale,
- per ottenere una più equa distribuzione delle ricchezze,
- per rinnovare lo spirito e la pratica della lealtà e veracità nella convivenza umana,
- e per realizzare, infine, una giusta pace tra i popoli.
E spiegava che, per guadagnare gli uomini a Cristo, non c'è un Uomo, come Giuseppe, così vicino al Redentore per vincoli domestici, per quotidiani rapporti, per armonia spirituale e per una vita ricca di grazia divina, pur essendo umile lavoratore manuale, che possa aiutare l’umanità a entrare profondamente nel disegno di Dio creatore .
Inoltre il 10 maggio 1955, alla moltitudine di aclisti convenuti a Roma, annunciava di istituire la festa liturgica di san Giuseppe artigiano, assegnandola appunto al primo giorno di maggio di ogni anno.
E all'inizio del Concilio Vaticano Il il papa Giovanni XXIII dichiarava san Giuseppe Patrono dello stesso Concilio e concedeva che il nome di san Giuseppe fosse inserito nel Canone Romano della Messa.
E, per finire, bisognerebbe leggere l'Esortazione Apostolica Redemptoris Custos: “CUSTODE DEL REDENTORE”(15 agosto 1989) di Giovanni Paolo Il, nella quale, riassumendo quanto detto dai Pontefici precedenti, egli lumeggia san Giuseppe nella sua figura e missione, nel quadro evangelico e nella storia della salvezza, nelle sue virtù di uomo giusto e sposo esemplare, nella sua professione di lavoratore e nel primato che egli riservò alla vita interiore, nonché nella sua funzione di patrono della Chiesa del nostro tempo.
Non resta, perciò, che andare anche noi a Giuseppe, fare esperienza dei suoi esempi e godere della sua potente intercessione (cfr. A. Bessières S.J., Presenza di san Giuseppe, pp. 25-34).
Concludendo questa breve introduzione ritengo si possa definire San Giuseppe, sposo di Maria Vergine e padre putativo del Verbo incarnato, come il primo pontefice della Chiesa. Cosa rappresentava la Sacra Famiglia nella casa di Nazareth se non la prima cellula della Chiesa che poi Gesù avrebbe riconfigurato dando mandato a Pietro di edificarla in tutto il mondo?
La prima Chiesa con il primo Pontefice
SAN GIUSEPPE NELLA VALTORTA VOLUME PRIMO, CAP. 25-27 DELLA COLLEZIONE DEI DIECI VOLUMI CHE HANNO COME TITOLO “IL POEMA DELL’UOMO DIO”.
Prima di leggere la rivelazione che la Madonna fa a Maria Valtorta è necessario dare alcune informazioni su questa mistica del secolo scorso.
La vita
Nacque in Campania (Caserta, 14 marzo 1897 – Viareggio, 12 ottobre 1961) da genitori lombardi. Il padre era ufficiale di cavalleria e la famiglia Valtorta traslocò diverse volte, prima di stabilirsi definitivamente a Viareggio. La condizione familiare piuttosto agiata permise alla giovane Maria di frequentare il prestigioso Collegio "Bianconi" di Monza, dove ricevette un'educazione classica, segnalandosi soprattutto per l'eccellente padronanza della lingua italiana.
Ma, prima ancora della conclusione degli studi, la sua vita fu segnata dai primi scontri con la madre, la quale infranse il suo sogno di sposarsi. Inoltre, nel 1920, subì una aggressione da parte di un sovversivo comunista il quale, sferrando un forte colpo sul fianco con una spranga di ferro, le lesionò la spina dorsale: questo fu l'inizio di un interminabile calvario medico che, nel 1934, la vide infine costretta a letto, semiparalizzata dalla vita in giù.
Nonostante le crescenti difficoltà, Maria Valtorta si dedicò interamente all'approfondimento della fede cristiana cattolica, anche come delegata dell'Azione Cattolica, finché glielo permisero le sue forze. La lettura dell'autobiografia di Teresa di Lisieux, Storia di un'anima, fece maturare in lei la decisione di offrirsi come vittima:
« vittima d'Amore prima, per consolare l'Amore divino che non è riamato, e poi anche di Giustizia, per la salvezza delle anime e del mondo. »
Maria Valtorta a letto
Sopraggiunta la paralisi, pensò di dedicarsi alla scrittura e abbozzò un romanzo a sfondo autobiografico, Il cuore di una donna, che, tuttavia, non condusse mai a termine, in parte per ragioni di obiettiva difficoltà, ma soprattutto perché, nel corso del 1943, la sua vita, che ella credeva ormai prossima alla conclusione, conobbe una svolta radicale.
In quell'anno, ella incontrò un sacerdote servita, padre Romualdo Maria Migliorini, ex-missionario destinato al convento di Viareggio; questi divenne il suo direttore spirituale e le chiese di scrivere la propria autobiografia. Ella, superata l'iniziale riluttanza a rivangare un passato ancora doloroso, obbedì e, nell'arco di pochi mesi, riempì sette quaderni autografi. Profondamente devota a Maria Addolorata, entrò nel Terz'Ordine dei Servi di Maria il 25 marzo 1944, solennità dell'Annunciazione, proprio presso la comunità di Viareggio.
Il secondo e cruciale evento dell'anno si verificò il Venerdì Santo: Maria avrebbe udito una "voce" - che pensò essere la voce di Gesù - la quale la induceva a scrivere, come sotto dettatura. Quel primo "dettato" segnò l'inizio di un'opera monumentale: tra il 1943 e il 1947, con "punte" fino al 1951, Maria vergò di getto, senza rileggere, centoventidue quaderni autografi, che contengono tutte le opere diverse dall'Autobiografia, scritte a episodi, di getto e in contemporanea. Eppure, da quelle condizioni di salute e di lavoro - per di più aggravate dagli eventi bellici, che la videro anche sfollata - nacquero testi corposi e organici.
Ben presto, la presunta "voce" di Gesù - cui, nei "dettati", si aggiunsero via via anche l'Eterno Padre, lo Spirito Santo, Maria Santissima e l'Angelo custode della scrittrice - indicò come principale la grande opera sul Vangelo, che, una volta completata, avrebbe visto descritta (in una serie di "visioni") e commentata (nei "dettati" che accompagnano i singoli episodi) la vita di Gesù e Maria, dall'Immacolata Concezione fino all'Assunzione.
Padre Migliorini cominciò ben presto a formare copie dattiloscritte di quanto Maria andava scrivendo e anche a farle circolare, sebbene ella e anche questa "voce" fossero contrarie a qualsiasi divulgazione degli scritti prima della morte di Maria stessa. Tale divulgazione, tuttavia - necessariamente frammentaria - attirò l'attenzione del Sant'Uffizio, che ordinò il ritiro di tutti i dattiloscritti in circolazione.
L'intera opera della Valtorta fu comunque sottoposta, per una sua valutazione e giudizio, all'allora pontefice Pio XII (vedi L'Osservatore Romano di venerdì 27 febbraio 1948), il quale dopo averla attentamente consultata diede disposizione di pubblicarla e di leggerla "così come è stata scritta" Questo per evitare che alcuni zelanti chierici potessero in qualche modo censurare alcuni passaggi e capitoli che a loro dire risultavano essere poco edificanti..
Va detto che l'opera ha subito inoltre approfondite analisi da parte di molti eminenti teologi cattolici i quali dichiararono unanimemente che questa era assolutamente conforme alla ortodossia cattolica.
Maria Valtorta inoltre mentre era impegnata nella stesura del suo Evangelo riuscì a riempire una grande quantità di quaderni tanto da poter formare in seguito ben 3 volumi di oltre 400 pagine l'uno il cui contenuto risultava integrativo dell'opera principale. Questi volumi sono titolati rispettivamente Quaderni 1943 / 1944 / 1945-50.
Si pensò allora ad un'edizione a stampa di tutta l'opera principale, ma svariate difficoltà si frapposero alla realizzazione del progetto: soltanto nel 1956 vide la luce il primo di quattro volumi, intitolato Il Poema di Gesù, per i tipi delle Edizioni Pisani. Peraltro, nei volumi successivi, che furono pubblicati con cadenza annuale fino al 1959, il titolo - suggerito dal noto clinico Nicola Pende, firmatario del Manifesto degli scienziati razzisti ed estimatore dell'opera, fu modificato in Il Poema dell'Uomo-Dio, poiché la versione originaria era già stata usata da un'altra casa editrice.
All'indomani della pubblicazione del quarto volume, il 16 dicembre 1959, il Sant'Uffizio condannò l'opera e la iscrisse nell'Indice dei libri proibiti. Il decreto della "Suprema", come di consueto in simili casi, non era motivato; su L'Osservatore Romano del 6 gennaio 1960, esso fu riportato insieme con un articolo di commento, intitolato "Una vita di Gesù malamente romanzata".
Maria Valtorta secondo la testimonianza di Marta Diciotti( Marta è stata l’assistente personale che ha accudito per oltre 26 anni la persona di Maria Valtorta), reagì quasi con indifferenza alla notizia della condanna; forse era iniziato quel misterioso processo che la portò, nei suoi ultimi anni, ad estraniarsi dal mondo in misura sempre maggiore.
Morì nella propria casa di Viareggio, il 12 ottobre 1961, e spirò non appena il sacerdote, recitando la preghiera per i moribondi allora in uso, le ebbe rivolto l'invito: "Proficiscere, anima christiana, ex hoc mundo" (Parti, anima cristiana, da questo mondo). Fu sepolta nel cimitero viareggino, ma, nel 1973, la salma fu riesumata e traslata a Firenze, nella Sala Capitolare della Basilica della Santissima Annunziata, il cui celebre affresco dell'Annunciazione, ella aveva molto ammirato in vita.
Di recente, l'Ordine dei Servi di Maria ha tentato di introdurre un processo di beatificazione, ma l'Arcivescovo di Lucca, nella cui Diocesi è morta Maria Valtorta, ha proposto di udire l'Arcivescovo di Firenze - adducendo, tra le altre, ragioni di ordine, per essere il Tribunale diocesano già impegnato in un processo di beatificazione alquanto ponderoso - e l'Arcivescovo di Firenze, una volta designato quale giudice dalla Congregazione per le Cause dei Santi, ha negato l'introduzione della causa, forte del parere negativo, pressoché unanime, dei Vescovi toscani; parere le cui ragioni, peraltro, non sono state comunicate al Postulatore.
RACCONTO DELLA MADONNA:
«È la vigilia del Giovedì santo. A taluni parrà fuori posto questa visione. Ma il tuo dolore di amante del mio Gesù Crocifisso è nel tuo cuore e vi resta anche se una dolce visione si presenta. Essa è come il tepore che si sviluppa da una fiamma, che è ancora fuoco ma non è già più fuoco. Il fuoco è la fiamma, non il tepore di essa, che ne è unicamente una derivazione. Nessuna visione beatifica o pacifica varrà a toglierti quel dolore dal cuore. E tienilo caro più della tua stessa vita. Perché è il dono più grande che Dio possa concedere ad un credente nel suo Figlio. Inoltre non è la mia, nella sua pace, visione disforme alle ricorrenze di questa settimana.
Anche il mio Giuseppe ha avuto la sua Passione. Ed essa è nata in Gerusalemme quando gli apparve il mio stato. Ed essa è durata dei giorni come per Gesù e per me. Né essa fu spiritualmente poco dolorosa. E unicamente per la santità del Giusto che m’era sposo fu contenuta in una forma, che fu talmente dignitosa e segreta che è passata nei secoli poco notata.
Oh! la nostra prima Passione! Chi può dirne la intima e silenziosa intensità? Chi il mio dolore nel constatare che il Cielo non mi aveva ancora esaudita rivelando a Giuseppe il mistero? Che egli lo ignorasse l’avevo compreso vedendolo meco rispettoso come di solito. Se egli avesse saputo che portavo in me il Verbo di Dio, egli avrebbe adorato quel Verbo, chiuso nel mio seno, con atti di venerazione che sono dovuti a Dio e che egli non avrebbe mancato di fare, come io non avrei ricusato di ricevere, non per me, ma per Colui che era in me e che io portavo così come l’Arca dell’alleanza portava il codice di pietra e i vasi della manna.
Chi può dire la mia battaglia contro lo scoramento, che voleva soverchiarmi per persuadermi che avevo sperato invano nel Signore? Oh! io credo che fu rabbia di Satana! Sentii il dubbio sorgermi alle spalle e allungare le sue branche gelide per imprigionarmi l’anima e fermarla nel suo orare. Il dubbio che è così pericoloso, letale allo spirito. Letale, perché è il primo agente della malattia mortale che ha nome “disperazione” e al quale si deve reagire con ogni forza, per non perire nell’a¬nima e perdere Dio.
Chi può dire con esatta verità il dolore di Giuseppe, i suoi pensieri, il turbamento dei suoi affetti? Come piccola barca presa in gran bufera, egli era in un vortice di opposte idee, in una ridda di riflessioni l’una più mordente e più penosa dell’altra. Era un uomo, in apparenza, tradito dalla sua donna. Vedeva crollare insieme il suo buon nome e la stima del mondo, per lei si sentiva già segnato a dito e compassionato dal paese, vedeva il suo affetto e la sua stima in me cadere morti davanti all’evidenza di un fatto.
La sua santità qui splende ancor più alta della mia. Ed io ne rendo questa testimonianza con affetto di sposa, perché voglio lo amiate il mio Giuseppe, questo saggio e prudente, questo paziente e buono, che non è separato dal mistero della Redenzione, ma sibbene è ad esso intimamente connesso, perché consumò il dolore per esso e se stesso per esso, salvandovi il Salvatore a costo del suo sacrificio e della sua santità.
Fosse stato men santo, avrebbe agito umanamente, denunciandomi come adultera perché fossi lapidata e il figlio del mio peccato perisse con me. Fosse stato men santo, Dio non gli avrebbe concesso la sua luce per guida in tal cimento. Ma Giuseppe era santo. Il suo spirito puro viveva in Dio. La carità era in lui accesa e forte. E per la carità vi salvò il Salvatore, tanto quando non mi accusò agli anziani, quanto quando, lasciando tutto con pronta ubbidienza, salvò Gesù in Egitto.
Brevi come numero, ma tremendi di intensità i tre giorni della Passione di Giuseppe. E della mia, di questa mia prima passione. Perché io comprendevo il suo soffrire, né potevo sollevarlo in alcun modo per l’ubbidienza al decreto di Dio, che mi aveva detto: “Taci! E quando, giunti a Nazareth, lo vidi andarsene dopo un laconico saluto, curvo e come invecchiato in poco tempo, né venire a me alla sera come sempre usava, vi dico, figli, che il mio cuore pianse con ben acuto duolo. Chiusa nella mia casa, sola, nella casa dove tutto mi ricordava l’Annuncio e l’Incarnazione, e dove tutto mi ricordava Giuseppe a me sposato in una illibata verginità, io ho dovuto resistere allo sconforto, alle insinuazioni di Satana e sperare, sperare, sperare. E pregare, pregare, pregare. E perdonare, perdonare, perdonare al sospetto di Giuseppe, al suo sommovimento di giusto sdegno.
Figli, occorre sperare, pregare, perdonare per ottenere che Dio intervenga in nostro favore. Vivete anche voi la vostra passione. Meritata per le vostre colpe. Io vi insegno come superarla e mutarla in gioia. Sperate oltre misura. Pregate senza sfiducia. Perdonate per esser perdonati. Il perdono di Dio sarà la pace che desiderate, o figli. Null’altro per ora vi dirò. Sin dopo il trionfo pasquale sarà silenzio. È la Passione. Compassionate il Redentore vostro. Uditene i lamenti e numeratene ferite e lacrime. Ognuna di esse è scesa per voi e per voi fu patita. Ogni altra visione scompaia davanti a questa che vi ricorda la Redenzione compiuta per voi».
ALTRA RIFLESSIONE.
Una luce sugli avvenimenti dell’incontro tra Maria e Giuseppe, ci viene un po’ anche dagli scritti di M. Valtorta nelle rivelazioni private che ricevette, in esse si parla del voto di verginità fatto da Maria e che lei rivela a Giuseppe il quale risponde: “Io unirò il mio sacrificio al tuo”. Ascoltiamo un loro dialogo, preso dallo scritto appena menzionato:
“Maria prende il ramo. È commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso. Si sente sicura di lui. Quando poi egli dice: “Sono nazareo” (*), il suo volto si fa tutto luminoso ed Ella si fa coraggio: “io pure sono tutta di Dio, Giuseppe. Non so se il Sommo Sacerdote te l’ha detto...” – “Mi ha detto solo che tu sei buona e pura e che hai da dirmi un tuo voto, e d’esser buono con te. Parla, Maria. Il tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio. Non t’amo con la carne. Ti amo con lo spirito mio, santa fanciulla che Dio mi dona!....” E Maria prosegue: “Fin dall’infanzia mi sono consacrata al Signore. So che questo non si fa in Israele. Ma io sentivo una voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d’amore per l’avvento del Messia. Da tanto l’attende Israele!... non è troppo rinunciare per questo alla gioia d’esser madre!” Giuseppe la guarda fissamente.... E poi le dice: “Ed io unirò il mio sacrificio al tuo e ameremo tanto con la nostra castità l’Eterno, che Egli darà più presto alla terra il Salvatore, permettendoci di vedere la sua Luce splendere nel mondo....”
(*)Un nazareo era qualcuno che aveva fatto il voto del nazareato o nazireato, separandosi da altri per consacrarsi a Dio. Secondo Nu 6, il nazareo si asteneva dal vino, non si tagliava i capelli, e non poteva avvicinarsi ad un cadavere. Questo era un voto temporaneo, ma i primi esempi che abbiamo sono di persone consacrate da nazarei per tutta la vita.
Che cosa chiedere a San Giuseppe?
Il beato Giacinto Cormier, Maestro generale dell’Ordine domenicano, morto nel 1916, raccomandava di chiedere a san Giuseppe la devozione alla Madonna, perché nessuno tra le creature l’ha amata, onorata e servita quanto Lui.
Papa Giovanni fin da ragazzo recitava ogni giorno la preghiera Virginum custos, per chiedere a san Giuseppe la protezione sulla purezza.
Eccola:
“O Custode e Padre dei vergini, san Giuseppe, alla cui fedele custodia fu affidata la stessa Innocenza Cristo Gesù e la Vergine delle Vergini Maria; per questo duplice carissimo pegno, Gesù e Maria, ti prego e scongiuro che, preservatomi da ogni impurità, con anima incontaminata, con cuore puro e con casto corpo, mi aiuti a servire sempre nella maniera più casta a Gesù e a Maria. Amen”.
Come preghiere a San Giuseppe c’è anche quella molto bella di Leone XIII: “ A Te, o beato Giuseppe...”.
Vi sono anche le Litanie e quelle che passano sotto il nome di Sacro Manto.
Esorto anche a invocarlo tutte le sere prima di addormentarsi dicendo:
“Gesù, Giuseppe e Maria, Vi dono il cuore e l'anima mia;
Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima mia agonia;
Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con Voi l'anima mia”».
Non sarà che il vento della Storia sta cambiando?
Proemio.
Dopo dieci anni di crisi economica terribile che ha provocato qualche milione di disoccupati e un depauperamento dei redditi di milioni di famiglie, e dopo i ripetuti allarmi pubblicati in libri e convegni di ricercatori indipendenti dalle lobbies accademiche e finanziarie, si è arrivati alla consapevolezza che bisogna intraprendere un cambiamento di paradigma in economia se si vuole veramente migliorare la condizione delle persone e rispettare l’ambiente.
Dal liberismo selvaggio al capitalismo delle élite della finanza apolide, dal collettivismo forzato di marxiana memoria al cripto comunismo all’italiana, dal socialismo dal volto umano all’assistenzialismo dalla culla alla bara; finalmente c’è la possibilità, dimostrata scientificamente, di passare all’Economia della Famiglia e in questo articolo scritto dagli specialisti del World-Lab Network lo rendo noto a tutti, specialisti della materia e semplici uomini della strada.
I risultati di questi studi sono stati pubblicati su Amazon nel 2015 e nel 2016: “LA DIGNITÀ DELLE NAZIONI” e “IL MANIFESTO DEL CIVISMO”, mentre a maggio 2017 è stato realizzato un Convegno a Venezia dal titolo: “UN MODELLO DI SVILUPPO CRISTIANO PER UNA ECOLOGIA INTEGRALE” con i contributi di esperti del mondo accademico italiano e europeo.
Oggi, dopo aver assistito in casa cattolica ai tentativi di superare i vecchi schemi dell’Economia Politica e della Macroeconomia, gli economisti di Dio consulenti dei Dicasteri vaticani vista la inconcludente prassi realizzata, stanno orientando i loro sforzi scientifici e operativi sul modello denominato "TRASFORMAZIONISMO", recentemente divulgato, al quale gli esperti di World-Lab potrebbero fornire supporto scientifico e programmatico per poter realizzare quello che gli stessi esperti hanno denominato: l’Economia della Famiglia.
Premessa
Il sistema economico e sociale occidentale, in espansione su scala planetaria, sta andando, con velocità crescente, in una direzione palesemente avversa all'Uomo e al Creato: “questa economia uccide”, sintetizza magistralmente Papa Francesco.
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PAPA FRANCESCO
Cosicché il tragico esito che ci attende, se nulla cambia, appare ogni giorno più imminente. pone dunque, con sempre maggior urgenza, la necessità di un deciso cambio di direzione.
Ammettendo ottimisticamente che una tale salvifica svolta sia ancora possibile, per cercare di capire come questa possa aver luogo, possono essere utili un paio di constatazioni relativamente banali.
La prima è che una parte non trascurabile dell'umanità rappresentata dal mondo islamico, appare tutt'oggi, pur con le sue sfumature, sostanzialmente immune dalla corsa verso il baratro sopra evocata.
La seconda è che in Occidente, quando questo era ancora sinonimo di Mondo cristianizzato, cioè solo qualche generazione fa, la vita non era molto dissimile, nei suoi aspetti più propriamente economici e sociali, da quella dei Paesi islamici.
In particolare, ciò che accomunava con più evidenza le due realtà era il grande ruolo rivestito, in entrambi casi, dalla famiglia.
Questo, a riprova che una società, quando è ispirata da un Magistero religioso al suo servizio, può dotarsi di un sistema socio economico in grado di farla uscire, anche in un mondo preindustriale, dalla povertà materiale e, non ultimo, spirituale.
Mentre, al contrario, quando le società sono ispirate, ma meglio sarebbe dire “plagiate”, da Magisteri parassitari che mirano esclusivamente al potere delle élite che li presiedono, esse sono condannate, in ogni tempo, o al sottosviluppo cronico o ad una crescita materiale apparentemente senza fine ma, in realtà una corsa insensata verso un “miraggio” davanti il quale c'è il baratro.
Tornando alle società islamiche odierne e a quelle occidentali del passato, viene spontaneo chiedersi come mai il sistema socioeconomico delle prime è rimasto sostanzialmente immutato nei secoli mentre quello delle seconde è stato letteralmente stravolto nella sua struttura, con l'emergere di un Mercato debordante su tutti i possibili ambiti il quale ha sostanzialmente annullato il ruolo della famiglia e di altri soggetti fondati sulla solidarietà reciproca sostituiti, nel Mercato dove tutto è ridotto a merce, da rapporti fra terzi mediati dal denaro.
E queste si trovano ora, dopo che il “miraggio” si è rivelato tale, lanciate, volenti o nolenti, in una corsa cieca verso il baratro (dove rischia seriamente di finire tutta l'Umanità e l'intero Ecosistema che pullula di vita innocente).
Dato che mai come oggi la società occidentale è stata così lontana da un modello socio-economico che possa dirsi conforme al messaggio evangelico e quindi al Magistero cristiano, appare evidente che in Occidente si è infiltrato, come un lupo in veste di agnello, un Magistero diverso da quello cristiano, chiamiamolo il Materialismo ateo, il quale, servendosi del “miraggio” della crescita infinita, ha indotto in errore la gente conducendola sulla via della perdizione.
E come mai questo non è successo nel mondo islamico?
Per due ragioni entrambe note.
La prima è che l'Islam si è dotato, fin dalla sua nascita, di precetti religiosi, poi imposti alla società, con funzione, da un lato, di baluardo invalicabile per il Mercato (basti pensare che la metà femminile della popolazione attiva è impiegata nell'auto-produzione domestica la quale copre l'intero arco del consumo famigliare corrente) e, dall'altro, di possenti anticorpi (rappresentati, questi ultimi, da altrettanti ben noti precetti regolatori della finanza islamica) nei confronti dell'aggressione virale del denaro (sterco del diavolo), linfa vitale del Mercato la quale, quando prende il sopravvento, risulta letale per una società che viene rapidamente ridotta ad una massa acefala e senz'anima dominata dalle élite della finanza apolide che presiedono al Magistero di Mammona.
La seconda ragione, altrettanto nota, è che il Magistero cristiano essendo incentrato sulla persona umana, con la sua dignità, non può prescindere dal libero arbitrio e dal lasciare alle singole famiglie e alla collettività la piena libertà nella gestione degli aspetti più specificatamente materiali della vita.
Non a caso, il Magistero cristiano si è dotato di una sua dottrina sociale ma non di una dottrina economica destinata ad essere da esso imposta il che, tradotto nel linguaggio corrente, significa che esso rifugge la dittatura (teocratica, nella fattispecie) e privilegia lo Stato laico e la democrazia esercitata in un contesto di questo tipo.
A questo punto una domanda cruciale sorge, come si suol dire, spontanea: l'Occidente, ampiamente scristianizzato in superficie ma non certo (seppur a sua insaputa) nelle sue radici, deve forse scegliere fra una dittatura, laica ma dotata di dispositivi di de-potenziamento della finanza e di “riposizionamento” del Mercato sui contesti economici, e non sono pochi, che più gli sono congeniali (in molti dei quali è, di fatto, insostituibile)? O vi è una via salvifica di uscita, democratica e, magari, di matrice cristiana che, quindi, comporta anche l'eliminazione della povertà e l'avvento di una società meno diseguale e più giusta?
Ebbene...sì!
E non è certo la via della rivoluzione, strumento violento della variante collettivista del Materialismo ateo condannata dalla Storia, né quella del riformismo, di provata inefficacia, privilegiata dalla variante individualista del Magistero appena menzionato per buttar fumo negli occhi della gente, bensì la via trasformazionale (*)
La via trasformazionale
Trattasi di una via che può senz'altro dirsi radicale in quanto prevede nientemeno che un rifacimento della macchina economica (una sua vera e propria trasformazione) implicante la sostituzione di importanti “pezzi” obsoleti nella loro funzione con altri di concezione inedita creati ad hoc.
Questa via, preconizzata da Zamagni, non ha per ora un grande seguito anche se può vantare un testimonial di eccezionale importanza, è proprio il caso di dirlo, nella figura di Papa Francesco.
Fra i “pezzi” obsoleti figura innanzitutto il welfare state il quale va sostituto con il Welfare society passando in tal modo da un welfare distributivo, sostanzialmente assistenziale, ad uno generativo che punta, con spirito di impresa, alla creazione di nuovo valore.
Anche se può sembrare inappropriato cominciare con questa sostituzione che pare più un fine che un mezzo per cambiare il funzionamento della macchina, facciamo qui questa scelta per il duplice motivo che detta sostituzione, come vedremo, non dipende necessariamente dalla politica e per il fatto che quest'ultima, come asserito giustamente da Zamagni, è piena di “politicanti” che guardano al breve termine e non da “statisti” caratterizzati da una visione più ampia sotto molteplici aspetti.
il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero Pontificio per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale
L'avvio di un welfare generativo, stando ai risultati di una ricerca condotta dal network World-Lab (**) può aver luogo per intervento di soggetti della società civile (Enti non-profit e imprese for-profit) con la diffusione di un inedito soggetto standard economicamente viabile (non richiede l'impiego di fondi pubblici a fondo perduto ma investimenti privati, anche di tipo crowdfunding, oltretutto sicuri e redditizi) denominato Distretto di Sviluppo Locale (o, più famigliarmente, Convivio, per evidenziare la sua natura di grande famiglia essendo esso esattamente calcato, nonostante la molteplicità di famiglie coinvolte, sullo schema dell'auto-produzione domestica).
Tale soggetto consiste in una cooperativa di utenza a produzione multi-settoriale (beni e servizi di consumo famigliare corrente destinati unicamente ai soci, lavoratori e/o utenti) composta da una serie di “botteghe artigiane” di nuova generazione operanti in solido dove, attraverso un accompagnamento all'operatività, ha luogo la trasmissione intergenerazionale del saper fare.
Dato che, come argomentato da World-Lab, ad ogni Convivio realizzato corrisponde una creazione netta di ricchezza e occupazione (analogamente a quanto avviene con l'avvio di una nuova attività auto-produttiva nell'ambito di una singola famiglia), una loro simultanea diffusione sul territorio nelle aree, e non sono poche, dove l'inattività involontaria abbonda (e il Sud dell'Italia è notoriamente una di queste) è suscettibile di creare consenso presso le istanze, verosimilmente di area cristiana ma, ovviamente, non solo, che comunque condividono l'approccio trasformazionale dell'economia e della società (la “stella polare” degli anni a venire).
Detto approccio prevede un ruolo attivo delle famiglie che, aggregate in Convivi, da semplici consumatrici passive diventano auto-produttrici dei beni e servizi essenziali alla vita e che, aggregate in un movimento politico (è di questi giorni la nascita su scala nazionale di un movimento di questo tipo, il Popolo della famiglia), possono contribuire in modo diretto alla trasformazione del sistema economico e sociale in un senso ad esse favorevole (piena attività permanente per l'eliminazione della precarietà del reddito e sradicamento definitivo della povertà, per un ritorno a tassi di natalità compatibili con la sopravvivenza). Insomma sia l'Economia che la Politica riscoprono la famiglia finora considerata la Cenerentola da entrambe: un segno di tempi che cambiano?
Il menzionato consenso sociale suscettibile di emergere a seguito della diffusione dei Convivi è ovviamente la base indispensabile su cui poggiare le politiche di trasformazione (sostituzione di “pezzi” obsoleti) necessarie, in primis quelle, identificate da Zamagni, della formazione universitaria (ancor oggi impostata su una logica fordista) e della fiscalità.
A questo proposito può essere utile osservare che una adeguata politica fiscale può risultare essenziale per avviare le imprese verso la graduale adozione del sistema partecipativo in sostituzione del sistema salariale e in tal modo, con l'accresciuto controllo sociale del Mercato che ne consegue, indurre nelle imprese del contesto concorrenziale una maggiore responsabilità sociale (Corporate Social Responsibility) facendone, assieme ai menzionati Distretti di Sviluppo Locale fondati sulla solidarietà mutualistica i “pilastri” portanti di una auspicabile Economia solidale di mercato o Economia civile.
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(*) Vedi Stefano Zamagni: Non basta il reddito di inclusione per sconfiggere la diseguaglianza. Settimanale Vita del 12 Febbraio 2018.
(**) Vedi World-Lab: La Dignità delle Nazioni, Giugno 2015. Tali risultati hanno fatto oggetto di un convegno, tenutosi a Venezia nel Maggio 2017 sotto gli auspici del Dicastero pontificio per il servizio dello sviluppo umano integrale.
Nella mia visione filosofica della Statistica nulla avviene per caso: finalmente possiamo andare a votare senza turarci il naso (come profetizzava il grande Indro Montanelli).
Era ora! Dopo un paio di legislature farlocche pilotate dalle ex potenze coloniali ( Francia, Gran Bretagna e Germania) e dalla finanza internazionale si torna a votare nella nostra amata Italia.
Inutile dire con quanto interesse si sta svolgendo questa campagna elettorale, e segno evidente dell’eccitazione è la formazione di nuovi partiti che sono riusciti a presentare simboli e liste in tutta Italia e quasi tutte indipendenti dalle aggregazioni multipartito che aspirano a conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Infatti, le tante liste indipendenti che si presentano difficilmente saranno presenti nelle Camere, data la complessità della legge elettorale approvata a fine corsa dal Governo attuale con l’appoggio dei partiti tradizionali. E allora perché tanto coinvolgimento delle nuove formazioni politiche nella sfida elettorale se la posta in gioco è sì alta ma molto difficile da conquistare?
Molto dell’interesse di queste nuovi partiti e movimenti si gioca sul fatto che i grossi partiti che governano e hanno governato le nostre istituzioni, in molti casi, hanno dato prova di non essere all’altezza delle sfide che i territori e le popolazioni richiedono alla politica.
In particolare uno di questi movimenti politici nasce dalle importanti manifestazioni a favore della famiglia che in questi ultimi anni hanno visto la partecipazione di centinaia di migliaia di partecipanti, non solo cattolici ma anche laici che hanno a cuore i valori della nostra cultura occidentale cristiana. È da queste straordinarie occasioni di incontro sui valori che è nato il POPOLO DELLA FAMIGLIA, aggregazione politica che è riuscita a essere presente in tutte le circoscrizioni elettorali dell’Italia.
Si tratta di un Movimento nato da un’esperienza di un popolo di madri, padri, nonni, figli e nipoti, che preoccupati per il destino delle loro famiglie hanno deciso di non assistere passivamente alla rivoluzione antropologica che sta devastando la nostra Italia.
Queste donne e questi uomini, armati solo della fede nella difesa della vita, nella libertà di educazione e nella tutela della famiglia naturale come previsto dalla nostra Costituzione, hanno deciso di impegnarsi concretamente per proporre politiche a favore di quei principi, per tentare di arrestare le politiche mortifere approvate dal Parlamento in questi ultimi anni e per porre un argine alla “dittatura del pensiero unico” imposta dalle potenze internazionali che promuovono la dissoluzione dei valori umani e cristiani nei popoli della nostra Europa, una volta cristiana.
Il POPOLO DELLA FAMIGLIA, oggi, è l’unico partito che ha assunto in merito ai principi non negoziabili, cari a San Giovanni Paolo secondo a al Papa emerito Benedetto XVI, (vita, famiglia, educazione), una linea chiara, inequivoca e inflessibile. Tutti gli altri partiti hanno linee contrarie alla visione antropologica cristiana, in particolare tutta la sinistra dove militano i sedicenti cattolici adulti, i Cinque Stelle e altre formazioni minori di ispirazione vetero-marxista, mentre l’area moderata lascia libertà di coscienza, che sfocia nell’astensione o nell’assentarsi dall’aula al momento del voto.
Molti si stanno chiedendo cosa ci sia dietro all’adozione di leggi da parte degli ultimi due governi non eletti dagli elettori, così apertamente contrarie alla cultura diffusa nel popolo italiano.
Ebbene, è necessario un piccolo riferimento al ruolo della finanza internazionale e ai media da questa finanziati e supportati nella divulgazione dell’ideologia contraria alla famiglia naturale e favorevole a tutte le tipologie di famiglie omosessuali, all’ideologia del “Gender”, ovvero alla eliminazione dell’identità sessuale e con l’insegnamento scolastico che propone che non esiste più la distinzione tra maschio e femmina, all’ideologia della distruzione della vita quando fa comodo, dall’aborto in qualunque fase della gravidanza e all’eutanasia.
Ora, è necessario fornire qualche chiave di lettura di quanto si sta svolgendo sotto i nostri occhi in questo tragico momento storico dove viene divulgata l’ideologia del Nuovo Ordine Mondiale. Questa non è la sede, per ora, per sviluppare questo argomento, ma un invito lo faccio ai lettori di questo blog: documentatevi su quanto prevede il Piano Kalergi nel merito e troverete qualche spunto di riflessione. Certo giornali e televisioni non parlano di questo tema scottante ed è naturale, chi dirige e governa l’informazione deve stare al gioco di chi dirige il gioco.
Ma, ritornando al tema di questo articolo sulle elezioni e alle proposte del POPOLO DELLA FAMIGLIA si può evidenziare come l’obiettivo prioritario del partito sia tutta la legislazione sulla famiglia come nucleo fondante della società. Consolidare la famiglia vuol dire mettere in crisi i “poteri forti” cui fa comodo al posto della famiglia lo Stato mamma che decide su tutto quello che nella nostra cultura cristiana invece è riservato ai genitori. Ecco perché l’ultimo governo ha così tanto insistito sull’insegnamento dell’ideologia “Gender” nelle scuole, a partire dalla scuola materna. Perché così prepara i futuri cittadini ad essere vittime consapevoli di uno Stato che vuole tanti piccoli “robot” obbedienti e non cittadini consapevoli dei diritti e dei doveri previsti nella nostra costituzione.
Finalmente oggi tutte le persone amanti della nostra cultura occidentale cristiana, credenti e non credenti, hanno la possibilità di contribuire a recuperare quei valori che in questi ultimi anni hanno subito attacchi fortissimi per essere cancellati dalla legislazione del nostro Paese.
Al riguardo ritengo utile far conoscere un evento che si è realizzato di recente a Varese. Grande successo di pubblico per la serata organizzata dal Popolo della Famiglia di Varese che si è ritrovato con i candidati, militanti e simpatizzanti al Palace Hotel domenica sera per una serata molto particolare insieme al Segretario Nazionale del movimento Gianfranco Amato ed il cantante Giuseppe Povia.
Oltre 300 persone hanno assistito al format che come definito da Amato e’ un “infotainment all’americana ” che portano in giro ormai da più di un anno in cui si sono alternati l’avvocato ed il cantante in una conferenza unica nel suo genere.
Amato ha spiegato i cavalli di battaglia del movimento dall’importanza della Famiglia nella società alla teoria gender, mentre Povia ha cantato le canzoni che lo hanno reso famoso da “Vorrei avere il becco” vincitrice del festival di Sanremo, a “Dobbiamo salvare l’innocenza” scritta dopo aver ascoltato alcune conferenze di Amato in cui si parlava proprio della teoria gender per finire con la famosissima “I bambini fanno ooh”.
Concludo questo articolo mettendo in risalto come il POPOLO DELLA FAMIGLIA si sia consacrato formalmente alla Beata Vergine Maria con una celebrazione avvenuta il 16 maggio 2016 presso la Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.
Il sito del PDF è www.ilpopolodellafamiglia.it