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Lunedì, 17 Giugno 2013 18:13

I CATTOLICI DOPO IL SINODO IN MEDIO ORIENTE

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Il Sinodo dei vescovi mediorientali e la situazione dei cattolici in Egitto, Libano, Israele, Palestina. Relazione al 24° congresso degli Amici di Terra Santa a Treviso. 9 giugno 2013.

Desidero iniziare questa mia relazione dall’omelia che papa Francesco ha tenuto martedì mattina, 4 giugno 2013, nella cappella della Domus Santa Marta, alla presenza anche dell’alta dirigenza della RAI. Papa Francesco ha demolito il linguaggio politicamente corretto, tanto in voga oggi, tutto teso a nascondere la verità o a falsificarla. Quando Gesù parla ai suoi discepoli dice che il parlare deve essere “Sì, sì! No, no, tutto il resto è opera del maligno”. Il pontefice nella sua semplice ma molto efficace catechesi ha affermato che l’ipocrisia non è un linguaggio di verità. E oggi, nei media, dentro e fuori la Chiesa è invece diffusa quella forma di linguaggio che mistifica i fatti. Eliminandoli per non farli  conoscere, o alterandoli facendo cattiva comunicazione.

sinodo vescovi medio oriente 1  VESCOVI DEL MEDIO ORIENTE

Faccio un esempio per essere chiaro. Di recente sono stati beatificati gli 800 martiri di Otranto. Chi erano queste persone? I superstiti, uomini e donne che si sono rifiutati di convertirsi all’Islam dopo che una flotta turca al comando di un cristiano albanese convertito all’Islam, nel 1480 (dal 28 luglio al 14 agosto) aveva conquistato la città, distrutto chiese e conventi, assassinato il vescovo e ucciso chiunque difendesse la città. Papa Francesco durante la canonizzazione ha affermato: “Mentre veneriamo i martiri di Otranto, chiediamo a Dio che sostenga tanti cristiani che ancora soffrono violenze e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene”. “Circa 800 persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto da parte degli Ottomani, furono decapitate nei pressi di quella città”.

foto congresso p aldo mi e balota2  fra Aldo Tonini o.f.m. Commissario di Terra Santa per il Triveneto con il prof. Gianfranco Trabuio e il prof. Ivano Cavallaro durante la preghiera iniziale di avvio dei lavori.

Queste sono state le parole del Papa. Un esempio di comunicazione storicamente fondata, semplice ed efficace. Sui media cosa è apparso? La maggior parte di questi, sia televisioni che giornali ha usato un linguaggio politicamente corretto: è scomparso qualunque riferimento al fatto che i massacratori erano turchi e musulmani. La verità è stata nascosta per evitare che i musulmani, che numerosi vivono in Italia, si arrabbiassero. Siamo allo stravolgimento della verità. Non abbiamo neanche più il coraggio di riferire i fatti storici. Anche dentro al mondo ecclesiastico è diffusa questa moda perversa. Ecco perché il Papa si è scagliato contro l’ipocrisia farisaica del linguaggio politicamente corretto, invitando tutti all’esempio evangelico dell’insegnamento di Gesù: semplicità e verità!

Questa riflessione mi consente di entrare nel tema della relazione, sui risultati del Sinodo dei vescovi mediorientali, tenutosi a Roma dal 10 al 24 ottobre 2010, convocato da papa Benedetto XVI dopo il suo pellegrinaggio in Medio Oriente e in Terra Santa nel maggio 2009.

Proprio per far capire a tutti noi quanto è arduo mantenere e sviluppare la fede in Cristo in quei territori, riporto le parole di Benedetto XVI scritte nel documento finale:

«Non temere, piccolo gregge» (Lc 12, 32). È con queste parole di Cristo che desidero

incoraggiare tutti i Pastori e i fedeli cristiani in Medio Oriente a mantenere viva, con coraggio, la fiamma dell’amore divino nella Chiesa e nei loro ambienti di vita e di attività. In questo modo, manterranno integre l’essenza e la missione della Chiesa così come Cristo le ha volute.

Sempre in tal modo, le diversità legittime e storiche arricchiranno la comunione tra i battezzati, con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo, il cui sangue purifica da ogni peccato (cfr 1 Gv 1, 3.6-7). All’alba della cristianità, san Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, ha scritto la sua prima lettera ad alcune comunità credenti dell’Asia Minore in difficoltà. All’inizio del nuovo millennio, è stato un bene che si siano riuniti in Sinodo, intorno al Successore di Pietro, i Pastori e i fedeli del Medio Oriente e di altre provenienze, per pregare e riflettere insieme.

 I tempi dello Spirito Santo non sono i tempi della cronaca giornalistica, lo Spirito e i suoi pastori lavorano nel presente ma proiettati nel futuro sospinti nel loro immane lavoro pastorale, dalle preghiere incessanti e dall’aiuto economico di tutti i cristiani del mondo. Le sofferenze e le discriminazioni patite dai nostri fratelli si sono ancor più aggravate dopo la conclusione delle fantomatiche “primavere arabe”, tutte conclusesi con l’avvento al potere di regimi musulmani fondamentalisti, che, come è noto mal sopportano la presenza cristiana nei loro territori. Ricordiamolo! I cristiani di quei territori sono arabi, non sono occidentali, hanno le loro radici nelle prime comunità dei tempi apostolici, conservano intatte le tradizioni dei loro costumi di duemila anni fa. Forse noi non comprendiamo appieno la loro sofferenza, sono cittadini di quei territori ma è come se fossero stranieri nella loro patria, e sono civilmente considerati cittadini di serie B,non godono degli stessi diritti dei loro concittadini musulmani o ebrei.

Durante la visita in Libano Benedetto XVI nel suo discorso ha offerto alcuni spunti su come può essere la convivenza islamo-cristiana. Tali spunti si possono riassumere nella convivenza pacifica tra le diverse comunità religiose, che elimini il fondamentalismo e in uno Stato che promuova una laicità aperta alla religione, non un laicismo nemico di ogni fede. In questo discorso emerge la stessa visione del tanto criticato discorso di Regensburg (Ratisbona). Considerato da molti un discorso contro l’Islam e ritenuto responsabile di aver distrutto i rapporti con questa religione, in realtà quel discorso era favorevole al dialogo con l’Islam, era soprattutto una sollecitazione all’Occidente ad aprire la ragione fino a comprendere anche la dimensione religiosa. Qui sta il fallimento dell’Occidente: nel ridurre la ragione all’aspetto materiale, al matematico, all’economia mercantilistica. Questi discorsi del Papa in Libano suggeriscono una via di transizione che può essere di aiuto al Medio Oriente, ma anche all’Occidente.

Come ha suggerito il Papa, il Libano potrebbe essere non solo un modello di convivenza islamo-cristiana per il Medio Oriente, ma anche un modello di vita per la comunità internazionale.

 La primavera araba ha anche creato una situazione nuova in Oriente. Inizialmente è stata una costruzione comune tra cristiani e musulmani. Priva di significato politico in senso stretto, la Primavera non ha unito gli arabi all’insegna delle lotte di rivendicazione dei palestinesi contro Israele, o contro gli americani, come invece accadeva in passato. È stato invece il tentativo di costruire una convivenza in cui l’appartenenza religiosa ha sì valore, è rispettata, riconosciuta, ma in cui tutti sono uguali come cittadini: questo era il progetto.

La Primavera è fallita, però è anche il fallimento dell’Occidente che ha mostrato disinteresse o, peggio ancora, ha ricercato i propri interessi economici e strategici. Si è visto con l’intervento francese in Libia: da intervento umanitario si è trasformato nel progetto di eliminare Gheddafi il quale, pur non essendo stato uno stinco di santo, aveva garantito uno sviluppo economico e una convivenza controllata fra le tribù. Eliminato Gheddafi, la Libia sta  facendo un cammino molto faticoso in cui la componente fondamentalista mette in crisi l’Islam, in particolare l’Islam sufi che in Libia è molto forte, distruggendo cimiteri, mausolei, monumenti e moschee. A farne le spese sono anche i cristiani che vivono in Libia. Sono perlopiù stranieri che dall’Egitto e dall’Africa si trasferiscono per lavorare, sono missionari e suore dalle Filippine.

L’Egitto è un altro paese dove i cristiani sono minacciati. C’è il timore che la costituzione appena approvata non sia in grado di proteggere i diritti dei cristiani. Una madre egiziana e i suoi sette figli sono stati condannati a pesanti pene detentive per aver cambiato illegalmente i propri documenti ufficiali. La famiglia voleva ripristinare i propri nomi cristiani, a seguito della morte del padre, di religione musulmana.

Nadia Ali Mohamed era nata cristiana ma si era convertita all’Islam, dopo aver sposato Mustafa Abdel-Wahab. Alla morte del marito, avvenuta nel 1991, la donna volle tornare al cristianesimo.

Nel 2004, dopo essere ridiventata cristiana, la famiglia sostituì i nomi musulmani sulla propria carta d’identità con nomi cristiani. L’intera famiglia è stata condannata a 15 anni di reclusione per aver violato le leggi sul cambiamento del nome.

Nel frattempo i gruppi islamici continuano ad attaccare edifici cristiani, senza che la polizia o le forze dell’ordine si impegnino troppo a prevenire questi attentati. Lo scorso 16 gennaio la Assyrian International News Agency ha riferito che centinaia di musulmani hanno distrutto la sede dei servizi sociali, appartenenti alla Chiesa Copta, intonando slogan islamici.

All’inizio del mese di aprile un gruppo ha assalito la cattedrale copta di San Marco, lanciando pietre e bombe infuocate.

“La polizia non sta facendo nulla per proteggerci o per fermare la violenza”, afferma Wael Eskandar, attivista cristiano-copto. “Al contrario, stanno attivamente aiutando i civili”, ad aggredire i cristiani, ha detto Eskandar, secondo quanto riferito in un articolo del New York Times.

 

Il Papa dei Copti Tawadros II ha accusato il presidente Mohammed Morsi, membro della Fratellanza Musulmana, di non aver fatto proteggere la cattedrale: il Washington Post, in un articolo del 18 aprile, l’ha definita “una critica diretta senza precedenti”

Nei paesi del Medio Oriente le prospettive per i cristiani continuano ad essere assai problematiche, tuttavia, né i governi occidentali né le istituzioni internazionali sembrano prendere molto in considerazione la questione.

foto congresso m5 p maurizio  fra Maurizio Vanti, Guardiano del convento della Chiesa Votiva, porta i saluti del Padre Provinciale al 24° Congresso degli amici di Terra Santa.

Uno sguardo tutto speciale lo diamo alla penisola arabica, dove l’Arabia Saudita svolge un ruolo egemone sia religioso che politico. Qui è nato il fondamentalismo sunnita che alimenta tutte le guerre in corso in quei paesi, a partire dalla Siria. Ebbene,  Monsignor Paul Hinder OFM Cap è pastore di un gregge forte nella fede e disperso nel territorio che ogni giorno vive e respira con l'Islam. La sua missione è quella di guidare la Chiesa nei Paesi arabi. La sede del vicariato è ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti.
Il vicariato apostolico d'Arabia comprende cinque Paesi: Emirati Arabi (dove ci sono sette parrocchie), Oman (4 parrocchie), Yemen (4), Qatar (1) e Bahrein (1).
Non ci sono cristiani locali, solo immigrati. I fedeli appartengono a 90 nazionalità diverse, e provengono soprattutto da Filippine, India, Indonesia, Nigeria, Stati Uniti e Paesi europei.
Le chiese non hanno segni esterni né simboli visibili, come croci o campanili. I fedeli si riuniscono per pregare in case private, spesso situate in periferia.
Vescovo cappuccino di 68 anni nato a Lanterswil-Stehrenberg, in Svizzera, mons. Hinder  dal 2005 guida circa 1,3 milioni di cattolici. In termini geografici, grazie a un territorio di circa tre milioni di chilometri quadrati, la sua è la “Diocesi” più estesa del mondo. Questo risultato è stato ottenuto dalla Chiesa di Roma grazie alla bravura del suo corpo diplomatico, in collaborazione con gli sceicchi del petrolio della penisola, i quali avendo estremo bisogno della manodopera immigrata per i loro affari, hanno valutato che fosse conveniente anche per loro lasciar pregare i cristiani nelle loro comunità.

I cristiani in Medio Oriente non sono vittime di una persecuzione sistematica, ma la loro vita e i loro diritti subiscono una discriminazione simile a una lenta eutanasia che sta spegnendo a poco a poco la loro presenza millenaria in Medio Oriente.

Ritengo opportuno su questo tema riportare il pensiero del noto gesuita egiziano Samir Khalil che insegna all’Università Saint Joseph di Beirut: “Non v’è dubbio che essendo una minoranza che non supera il 10% della popolazione del Medio Oriente - mentre la stragrande maggioranza è di religione musulmana - la nostra esistenza dipende dal beneplacito di questa maggioranza, soprattutto perché l’islam si concepisce come Stato e religione. E siccome da più di 30 anni ormai la maggioranza degli Stati mediorientali ha adottato un approccio islamista alla realtà statale, dove la religione decide tutti i particolari della vita quotidiana, sociale e politica, va da sé che in queste condizioni la nostra situazione dipenda dal buon volere dei musulmani e dal sistema islamico.

C’è un senso religioso che ci accomuna e ci unisce. Ma se dobbiamo parlare dell’islamismo, il discorso cambia radicalmente perché si tratta di un progetto politico a sfondo religioso. Come cristiani orientali, vorremmo essere trattati semplicemente come cittadini con una Costituzione che trascende tutte le religioni. Ma nella maggior parte dei casi nei nostri Paesi la Costituzione è basata essenzialmente – se non totalmente – sulla legge islamica. E questo è il nostro problema. A parte pochi casi come il Libano, gli Stati anche costituzionalmente laici, come sarebbe il caso della Tunisia, della Siria (prima della guerra civile) o della Turchia, sono culturalmente Paesi islamici e privilegiano i cittadini di religione musulmana.

Cosa possiamo fare noi, qui, in Italia e nel Triveneto, per poterli aiutare? Prima di tutto conoscendone i problemi, le loro difficoltà ma anche la loro ricchezza spirituale. Sono i loro progenitori che hanno portato Gesù Cristo dalle nostre parti. Pensiamo a Paolo, a Barnaba, a Marco, a Teonisto, a Tabrata, a Brata a Liberale. Sono questi gli apostoli che hanno evangelizzato il Veneto, a partire da Aquleia per arrivare a Treviso.

 

Letto 4070 volte Ultima modifica il Sabato, 24 Agosto 2013 16:46

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